Sei qui: Home » Società » Perché le aziende ricorrono ad arte e letteratura nella pubblicità

Perché le aziende ricorrono ad arte e letteratura nella pubblicità

Non è insolito vedere nelle pubblicità opere d'arte o letteratura utilizzate a fini commerciali. Ripercorriamo insieme la storia del rapporto tra arte e pubblicità

MILANO – La Conad, nota catena di supermercati italiana, si contraddistingue per le sue pubblicità efficaci che fanno leva sui buoni sentimenti, la solidarietà, l’idea di famiglia e la cooperazione tra venditore e compratore. In uno dei suoi ultimi spot pubblicitari, la voce fuori campo inizia dicendo “nessun uomo è un’isola e nemmeno un supermercato“. La frase “nessun uomo è un’isola” deriva da uno scritto di John Done tratto da Devozioni per occasioni d’emergenza in cui il poeta scriveva: Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te. 

Queste stesse parole furono riprese dal grande Ernest Hemingway nel suo romanzo Per chi suona la campana, per poi passare nel nostro parlato comune. Soffermandoci però sull’uso di una frase appartenente alla letteratura da parte di una pubblicità, è inevitabile non riflettere sul rapporto arte-pubblicità, due mondi apparentemente molto distanti e con fini divergenti, ma che in realtà, durante la storia, hanno dimostrato di avere punti in comune.

Leggi anche: A Milano le metropolitane si trasformano in gallerie d’arte grazie ad Esselunga e Philippe Daverio

Gli artisti lavorano per la pubblicità: la Belle Époque

Tra fine Ottocento e inizio Novecento gli artisti collaboravano con la pubblicità, rendendo le strade e i mezzi pubblici cittadini delle vere gallerie d’arte. Le pubblicità del tempo meravigliavano per lo stile e l’eleganza, magari sorvolando sul marketing. Se ci immaginiamo di tornare indietro nel tempo, potremmo vedere delle bellissime litografie realizzate da Toulouse-Lautrec per il Moulin Rouge, che ritraevano ballerine impegnate in danze sfrenate in ambienti sfavillanti grazie alla luce a gas. Il pittore Marcello Dudovich è considerato il padre della moderna cartellonistica pubblicitaria: sue sono le famosissime serigrafie per la Rinascente, la Pirelli e il Liquore Strega, tanto per citarne alcune.

L'arte e la pubblicità, un rapporto duraturo

L'arte e la pubblicità, un rapporto duraturo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche gli artisti futuristi realizzarono pubblicità, come Depero che disegnò la bottiglietta conica del Campari; spesso le loro pubblicità si facevano portatrici di messaggi propagandistici fascisti. In quest’ottica rientra l’immagine della donna venduta dal regime, che viene raffigurata formosa e sana, molto diversa da come effettivamente era la donna durante il periodo fascista.

L'arte e la pubblicità, un rapporto duraturo

Il boom economico: il consumismo

Dagli anni ’50 in Italia si verifica il boom economico: sul modello dell’american way of life, i consumi degli italiani aumentano e si diversificano. A questo punto il concetto di pubblicità si evolve: la pubblicità diventa una scienza, legata alla sociologia, alla psicologia e al marketing appunto. Si affinano le tecniche, facendo sì che diventi un settore di vero e proprio business. Bruno Munari e Armando Testa ne sono i rappresentanti più prolifici.
Ma è dagli anni ’60-’80 che avviene il vero cambiamento: il consumo cresce sempre di più, tanto da parlare di era del consumismo, in cui si comprano gli oggetti per buttarli e ricomprarli; da questo periodo gli oggetti riempiranno sempre di più la nostra vita, stabilendo una nuova gerarchia valoriale. Proprio qui si inserisce la pop-art: Andy Wharol è maestro indiscusso, in quanto, riprendendo le antiche serigrafie, riesce a interpretare ironicamente il consumismo e la continua riproduzione di oggetti, tanto che alcune delle sue opere sembrano proprio dei cartelloni pubblicitari. Gli oggetti passano dal barattolo di fagioli (Scatole di Campbell’s soup) a vere e proprie icone pop, come Marilyn Monroe: tutto è consumo e tutto si può consumare.

Leggi anche: Il boom economico del dopoguerra in mostra attraverso la creatività pubblicitaria

L'arte e la pubblicità, un rapporto duraturo

Il mondo di oggi: la pubblicità si serve dell’arte

E oggi? Oggi la pubblicità si serve dell’arte. Non è inusuale vedere quadri o opere d’arte ritoccati per promuovere e pubblicizzare un marchio, come fece Esselunga che riprodusse nei cartelloni delle metro di Milano quadri in cui il cibo è protagonista, oppure come la Ferrarelle che giocò con la Gioconda di Leonardo sul significato di “liscia”, “gassata”, Ferrarelle”, o appunto come la Conad che riutilizza un passo letterario per promuovere il proprio significato di significato (nessun uomo è un’isola e nemmeno un supermercato). Questo perché? I brand si appropriano di grandi opere, ben presenti al grande pubblico, accostandone il significato alla loro immagine e beneficiandone in termini di prestigio. 

 

 

© Riproduzione Riservata