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Paolo Di Stefano, “Il problema dell’Italia è l’ansia da best seller”

Il giornalista del Corriere della Sera analizza lo stato dell'editoria italiana e ci illustra come si parla oggi di cultura e libri sulle testate

MILANO – In Italia escono bellissimi libri, ma le case editrici pubblicano troppe opere con la speranza di fare bingo e se non fanno bingo, nel giro di pochi giorni passano ad altro. Parola di Paolo Di Stefano, giornalista ed ex responsabile delle pagine culturali del Corriere della Sera. Di Stefano analizza anche come si parla oggi di cultura e libri sulle testate, facendo notare come i giornali non svolgano più la funzione di selezione e di distinguo, disorientando il lettore ed indebolendo l’autorevolezza dei giornali. Ecco l’intervista completa.

 

Qual è lo stato dell’editoria italiana oggi?

Si pubblica molto, secondo me troppo per le possibilità di smercio e per gli spazi delle librerie. Il vero problema è l’ansia da best seller: si pubblica con la speranza di fare bingo e se non fai bingo, nel giro di pochi giorni passi ad altro sempre con la speranza di fare bingo. Detto ciò la produzione dell’editoria italiana è di ottimo livello. Escono libri bellissimi (specialmente in traduzione) che però non si vedono o si vedono poco. Le grandi catene, che si fanno pagare per assegnare alle novità i posti di primo piano, hanno ucciso la bibliodiversità e l’e-commerce non rimedia, perché anche lì la promozione punta sui titoli da best seller.

 

La comunicazione è in continua trasformazione, quindi anche quella legata alla cultura ed ai libri. Come è cambiata negli ultimi anni?

I giornali non svolgono più la funzione di selezione e di distinguo. Le pagine culturali si sono moltiplicate (specie gli inserti), ma puntano sulla quantità, tante cose diversissime e per i libri danno un rilievo centrale alle classifiche. C’è di tutto, il buono e il pessimo, senza criterio e coerenza. I collaboratori sono spesso illustri sconosciuti persino per gli addetti ai lavori. Oggi un lettore di giornale, viceversa, richiederebbe non un contenitore indifferenziato ma una selezione della qualità.

 

Sei stato responsabile delle pagine culturali del Corriere. Quali contenuti esclusivi offrono i quotidiani cartacei rispetto alla vasta offerta di informazione presente oggi?

Cedo di aver già in qualche modo risposto. Rispetto a dieci anni fa gli spazi si sono accresciuti di molto. La dilatazione ha portato vantaggi (nell’offerta più varia rispetto al passato) e svantaggi come la minore selettività delle firme, dei contenuti e dello stile. Le recensioni sono molto numerose ma sono per lo più segnalazioni descrittive e raramente sono interventi critici. Tutto questo ha indebolito l’autorevolezza dei giornali provocando la fuga anche del lettore forte. D’alta parte ci sono anche tendenze opposte come il successo della “Lettura”, supplemento culturale del Corriere disponibile tutta la settimana in edicola a 50 centesimi.

 

I dati legati alla lettura in Italia sono in leggera ripresa, ma se paragonati al resto dell’Europa siamo uno dei Paesi dove si legge meno. In che modo è possibile attuare questo cambiamento culturale, portando la gente a leggere di più nel nostro Paese?

Scuola scuola scuola. Credo che tutto parta da lì. I dati sull’analfabetismo funzionale in Italia sono allarmanti. Se si pensa di portare la gente a leggere con i festival letterari, sbagliamo clamorosamente. Il moltiplicarsi delle feste del libro negli ultimi vent’anni non ha inciso per nulla sul mercato. Si tratta di appuntamenti straordinari, bellissimi per chi li frequenta, fenomeni di grande impatto sociale che assecondano i desideri dei lettori forti e il piacere di stare insieme dei non lettori. Per questo, credo che la passione per la lettura vada trasmessa nella scuola: gli incontri con l’autore, secondo la mia esperienza, hanno effetti eccellenti se vengono preparati adeguatamente in classe.

 

 

 

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