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Otto storie di donne che hanno sconfitto stereotipi e pregiudizi di genere

Abbiamo intervistato Maura Gancitano e Andrea Colamedici, autori di "Liberati della brava bambina. Otto storie per fiorire", un libro contro i pregiudizi della cultura patriarcale

MILANO – Non alzare la voce, non ribellarti, fai la brava mamma, fai la brava bambina. Per secoli il ruolo della donna è stato quello di moglie e madre, angelo del focolare, sottomessa al marito e alle figure maschili della famiglia. L’esigenza da cui Maura Gancitano e Andrea Colamedici sono partiti per scrivere Liberati della brava bambina (HarperCollins) è semplice: raccontare storie di donne diverse che hanno saputo ribellarsi, e, attraverso la loro storia, interrogarsi criticamente sul significato di tanti stereotipi impliciti che ancora gravano sulle donne di oggi. Perché è normale che alle donne non piacciano le materie scientifiche? Perché è normale che vengano pagate meno degli uomini? Perché ci aspettiamo che siano loro a prendersi cura della casa?

Era, Medea, Daenerys, Morgana, Malefica, Elena, Dina, Difred sono le otto donne raccontate nel libro. Personaggi della letteratura classica ma anche del cinema contemporaneo, questi ritratti femminili «insegnano come trasformare le gabbie in chiavi e volgere le difficoltà in opportunità. Solo così ci si potrà finalmente permettere di esistere, e non aver paura di fiorire». Di seguito l’intervista agli autori del libro.

 

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Il libro si apre con la frase di Simone De Beauvoir “Non si nasce donne, si diventa”. In che modo questa frase rappresenta la vostra opera?

De Beauvoir aggiungeva che “essere donna non è un dato naturale, ma il risultato di una storia. Non c’è un destino biologico e psicologico che definisce la donna in quanto tale”. Quando viene al mondo ogni “femmina” viene condizionata a fare delle cose e a non farne altre perché deve essere una brava bambina, perché certi desideri sono naturali e altri sono innaturali, e in questo modo disimpara ad ascoltare se stessa e ciò che sente davvero e si adegua a quei dettami così stringenti che le dicono come deve apparire, cosa deve studiare, come deve vestirsi, cosa è giusto che pensi. Bisogna osservare questa gabbia in cui si è state rinchiuse e, una volta scoperta, bisogna imparare a demolirla o, meglio, a trovare la chiave per uscirne, per liberarsi dall’idea della brava bambina, della brava madre, della brava moglie, ossia di quei diktat sociali che impongono alle donne obbedienza, sottomissione e un senso perenne di inadeguatezza.

Essere donna non è un dato naturale, ma il risultato di una storia. Non c’è un destino biologico e psicologico che definisce la donna in quanto tale.

Come sono state scelte le 8 protagoniste del libro?

Abbiamo voluto creare un equilibrio tra miti antichi e contemporanei: ci sono dee e eroine dell’Antica Grecia (Era, Medea, Elena) insieme a protagoniste delle serie TV, della letteratura e del cinema (Malefica, Morgana, Difred, Daenerys, Dina). Tutte queste figure hanno subito il peso del dominio maschile ma rappresentano la possibilità del recupero del proprio potere. Le storie che abbiamo scelto sono state interpretate e raccontate per millenni in chiave patriarcale, e abbiamo voluto dar loro giustizia: Medea non è un’infanticida, ma una donna che riprende in mano la propria vita e ciò a cui aveva rinunciato per l’amore di un uomo che voleva solo usarla, così come Era non è una moglie petulante ed Elena non è una donna troppo bella, quindi superficiale e sciocca. Sono eroine che ci hanno realmente accompagnato durante la scrittura, e le abbiamo scelte proprio perché hanno un potere trasformativo: la vera protagonista del libro, in realtà, è Lei, la donna che attraversa le storie delle otto protagoniste come se fossero otto tappe della sua liberazione.

Perché nella storia i modelli di donne forti sono sempre stati ridotti al silenzio?

Perché le donne forti hanno sempre fatto paura, soprattutto al potere esclusivamente maschile che è andato imponendosi nella storia dell’umanità. Le donne hanno dovuto accettare il ruolo di ancelle, identificarsi con la funzione materna, non dare ascolto ai propri desideri ma adeguarsi al modello culturale patriarcale. Una tragedia per le donne ma una sconfitta totale per tutte e tutti, in realtà, perché questa cultura ha condizionato anche gli uomini. Siamo frutto di una cultura millenaria che ha annullato le diversità e ha puntato tutto sulla forza e sulla violenza. Adesso per fortuna questo modello culturale si sta accartocciando su se stesso.

In che modo le donne raccontate nel libro hanno comunque lasciato il loro segno?

Perché, malgrado tutti gli sforzi compiuti per cancellare la loro storia, le donne sono comunque riuscite a tramandare quel bisogno di libertà e autodeterminazione. Sono riuscite a farlo non trincerandosi dietro a grandi ideali straordinari, ma attraverso donne comuni in grado di compiere azioni straordinarie. Nelle fiabe, per esempio, ci sono le tracce della perseveranza che le donne hanno avuto nei millenni nonostante tutto, nonostante quelle stesse fiabe siano spesso state manipolate e interpretate dalla visione patriarcale. Anche se le storie che raccontiamo sono storie “inventate”, cioè vengono dalla mitologia, dalla letteratura e dalle serie TV, il loro potere non è meno forte di quello che avrebbero delle storie realmente accadute. Il potere delle storie è questo: parlano di te, di ciò che vivi, dei tuoi traumi e dei tuoi irrisolti e ti danno la forza per superarli e immaginare il futuro.

Anche se le storie che raccontiamo sono storie “inventate”, cioè vengono dalla mitologia, dalla letteratura e dalle serie TV, il loro potere non è meno forte di quello che avrebbero delle storie realmente accadute.

Quali sono i “nuovi silenzi” che le donne oggi affrontano nel quotidiano?

Le donne sono ancora spinte ad adeguarsi a una “normalità” che è solo una costruzione culturale: è normale che sia la donna a occuparsi della pulizia della casa, che rinunci al lavoro non appena ha un figlio, che desideri avere un figlio, che non sia portata per le materie scientifiche, che si preoccupi dell’aspetto fisico, che non abbia ambizione, che non sia autorevole quanto un uomo, che non sia pagata quanto un uomo, che debba essere sempre disposta a fare un passo indietro. Chi va contro questa idea di normalità – semplicemente perché non risponde ai propri desideri – viene definita “maschile”, aggressiva, arrogante, presuntuosa, snaturata, e questo provoca dolore e sofferenza ancora oggi in moltissime donne, e spesso le costringe al silenzio per evitare di essere etichettate e stigmatizzate dal proprio ambiente e dalla società.

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