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Halina Birenbaum al Salone del Libro, “Tutto quell’odio l’ho vissuto sulla mia pelle”

Halina Birenbaum è una dei testimoni della Shoah che ha lottato e lotta contro coloro che negano l'olocausto e sostengono tali atrocità

MILANO – Inizia oggi l’appuntamento più importante per gli appassionati di libri e per gli addetti ai lavori del mondo dell’editoria e non. Quest’anno il Salone del Libro di Torino, prima ancora di cominciare, è stato aperto da polemiche riguardanti la partecipazione della casa editrice Altaforte, vicina a Casapound. Nei giorni scorsi Halina Birenbaum, il Museo di Auschwitz e l’associazione Treno della Memoria hanno inviato una lettera molto forte al Comune di Torino con una presa di posizione molto chiara: “O noi o loro“. A seguito della lettera, Altaforte è stata esclusa dal Salone, e la scrittrice sopravvissuta ad Auschwitz ha parlato al pubblico del Salone durante il suo incontro di questa mattina.

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Un presidio per la civiltà e la democrazia

Halina Birenbaum si presenta quest’anno al Salone del Libro con un nuovo libro intitolato La forza di vivere, attraverso il quale testimonia la sua terribile esperienza come superstite della Shoah e dei campi di concentramento. Questo libro ha la finalità di raccontare, di testimoniare e di continuare ad affidare alla parola il compito di tramandare e tramandare uno spaventoso e tremendo capitolo della storia dell’umanità. Infatti Halina deve tenere fede a una promessa: ad Auschwitz le persone, i prigionieri, supplicavano di essere ricordate in qualche modo, di non svanire nell’oblio e di mantenere vivo il ricordo di quello che stavano vivendo. Halina Birenbaum, una donnina anziana e minuta ma con una forza e una tenacia indistruttibili, nota e denuncia con grande dispiacere come oggi però questo racconto dia fastidio e anzi, all’età di novanta anni deve costatare che sono sorte delle associazioni che vogliono e propugnano gli stessi diritti che venivano portati avanti allora.
All’incontro sono presenti anche l’associazione Il treno della memoria e il Museo di Auschwitz che sostengono Halina e ribadiscono che davanti a certe posizioni non possono esistere mezze misure, ma che bisogna difendere con tutti i mezzi i valori democratici. Il gesto di Halina rappresenta un baluardo contro l’ignoranza e la non democrazia e tutti quei valori che si basano sull’odio. Va presa come esempio perché è stata capace di non abbattersi e di avere un grande coraggio.

Ancora adesso nascono movimenti di odio verso altre persone. Ecco io tutto questo l’ho vissuto sulla mia pelle.

La forza di Halina

Halina Birenbaum è una degli ultimi superstiti della Shoah e rappresenta per noi una preziosissima testimonianza: i suoi racconti sono forti e ricchi di particolari, conferma del fatto che non ha dimenticato, non può farlo, anche perché sulla sua carne è ancora impresso il numero di matricola. Dopo aver cercato in tutti i modi di nascondersi dai nazisti nelle tubature e nelle fognature, in silenzio per non farsi scoprire, dopo aver imparato l’importanza di un pezzo di pane, dopo aver visto le strade sporche dal sangue di cadaveri, venne presa e deportata. All’età di 10 anni entrò nel campo di sterminio di Majdanek, in cui venne separata dalla madre, la quale le aveva insegnato a dichiarare di avere 17 anni e non 10 come effettivamente aveva: così avrebbe potuto continuare a vivere perché avrebbe potuto lavorare, mentre i bambini ai nazisti non interessavano.

Le condizioni nel campo erano terribili, racconta Halina, “Le baracche erano sovraffollate: dovevamo picchiarci letteralmente per avere spazio. Una volta al giorno ci portavano della minestra, ma per 800 donne portavano soltanto 100 ciotole, così che dovevamo lottare per poter mangiare.” Fame, paura, malattie, pidocchi.
Arrivò la notizia del trasferimento in un campo di lavoro: c’è speranza perché era risaputo che era un miracolo rimanere vivi in un campo di sterminio. Ma l’SS invece che portarli al campo, nel mezzo della donne arrivano nelle baracche con i cani e le carabine e spingono i deportati nelle camere a gas. Li lasciano lì tutta la notte fino al momento in cui la mattina Halina e gli altri capiscono che era tutta una finta. Uno spietato gioco crudele.
Dopo essere giunta ad Auschwitz, Halina ha vissuto in altri due campi di lavoro, rimanendo attaccata alla vita con le unghie, senza farsi spezzare, ma dimostrando di avere la forza di raccontare e riraccontare, combattere e lottare in nome della verità.

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