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Erri De Luca, “Prima di essere scrittore, sono un cittadino con diritto di parola”

Lo scrittore napoletano è da poco tornato in libreria con "Il giro dell'oca", opera in cui l'autore racconta lo strano e intenso dialogo avuto con un figlio adulto immaginario

MILANO – “Non mi importa di perdere lettori. Mi importa molto di più perdere il diritto di parola, censurarmi per quieto vivere. Scrittore è per me un’attività festiva, essere cittadino è il mio impegno quotidiano, feriale.” Si definisce così Erri De Luca, scrittore ma ancor prima “un cittadino che di volta in volta assume degli impegni di fronte alla comunità del suo paese”. Lo scrittore napoletano è da poco tornato in libreria con “Il giro dell’oca“, opera in cui l’autore racconta lo strano e intenso avvenimento, poi diventato scrittura, del dialogo avuto con un figlio adulto immaginario, una presenza che lo ha interrogato severamente sulle tappe principali della sua vita, “uno scambio di racconti e da parte del figlio uno spirito critico verso il padre”. L’intervista è stata anche l’occasione per parlare di attualità e di come la generazione attuale affronta il futuro.

 

Perché ha voluto intitolare questo suo libro così intimo “Il giro dell’oca”?

Per giro dell’oca s’ intende qui, nel dialogo tra un padre e un figlio, semplicemente la vita stessa. Il percorso da una tappa, casella, all’altra, chi lo determina, chi getta i dadi? Il figlio è credente, ha fede in un progetto a governo del mondo e delle persone, il padre no.

 

Come nasce il confronto con questo figlio immaginario? Perché ha utilizzato questa “formula” ripercorrere la sua storia?

Vivo da solo in campagna, di sera mi trovo a cenare nel silenzio compatto dei muri di pietra, mi capita di pensare intensamente a delle persone assenti, succede che ne immagini la presenza. Con questo figlio adulto l’immaginazione è andata oltre e ha prodotto prima una presenza fisica, poi un dialogo, uno scambio di racconti e da parte del figlio uno spirito critico verso il padre. Sono stato un tale figlio verso mio padre. Da adulto mi manca più che un figlio, una presenza che mi interroghi severamente sulle tappe di questo giro dell’oca. Non è stato un espediente letterario, ma uno strano e intenso avvenimento, poi diventato scrittura.

 

Ad un certo punto il figlio immaginario dice “Avrei voluto nascere al tuo posto”. Cosa rimpiange della generazione passata?

Non ho sentimenti di rimpianto, neanche di nostalgia. Non vorrei tornare in nessuna stazione precedente. La mia generazione era maggioranza e sentiva di esserlo. Eravamo i nati di dopoguerra, quando un popolo fa ripartire la vita con le molte nascite. Siamo stati anche la prima generazione con cultura di massa. Queste sue condizioni hanno prodotto una gioventù che dava l’assalto al futuro. Oggi la gioventù lo teme. Sento questa differenza, ma come semplice constatazione.

 

Ripercorrendo il suo passato all’interno del libro non possiamo non chiederle un confronto con la situazione attuale italiana. Come è cambiata la società?

Una idolatria della ricchezza ha portato per molto tempo al governo il più ricco, ha trasformato la politica in una branca dell’economia. La cosa pubblica è diventata privata, i cittadini si sono trasformati in clienti di un’azienda Stato. Ma così hanno perso l’appartenenza a una comunità di persone con pari diritti. Si ritrovano soli di fronte a un creditore esigente che valuta ognuno secondo il suo potere di acquisto, i soldi che ha in tasca.

La parola politica ha perso qualunque valore d’uso. La si dice per imbonire il cliente e ottenerne il voto, poi la si nega, la si smentisce secondo convenienza. Le notizie false dilagano in assenza di credibilità della parola pubblica.

 

Lei è da sempre un autore molto impegnato nel sociale e che non ha paura di intervenire su fatti di attualità. Pensa che questa sia una peculiarità di molti altri scrittori contemporanei, oppure ritiene che si sia persa questa abitudine di “scrittore impegnato”?

Lo scrittore nostrano ha in genere un piccolo bacino di lettori e teme di perderne la preferenza prendendo parte alle questioni civili. Lo scrittore nostrano è politicamente opportunista per tradizione. Il mio caso  è diverso perché prima di essere scrittore sono un cittadino e esprimo le mie convinzioni tenendo insieme quello che dico e quello che faccio. Non mi importa di perdere lettori. Mi importa molto di più perdere il diritto di parola, censurarmi per quieto vivere. Scrittore è per me un’attività festiva, essere cittadino è il mio impegno quotidiano, feriale. Comunque non mi considero uno scrittore impegnato, ma un cittadino che di volta in volta assume degli impegni di fronte alla comunità del suo paese.

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