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La lettera di Arthur Rimbaud all’amico Paul Demeny

Questa lettera scritta a Paul Demeny, nel 1871, promette "un'ora di letteratura nuova", e contiene i motivi centrali della poetica di Rimbaud

MILANO –  Oggi vi proponiamo una lettera scritta dal poeta francese Arthur Rimbaud all’amico Paul Demeny nel 1871. La Lettera del Veggente, così è stata rinominata, è un importante documento non solo personale ma per la storia della letteratura, una dichiarazione di poetica scritta per coinvolgere generazioni di ogni epoca e correnti artistiche di tutto il mondo. 

“Ho stabilito di offrirle un’ora di letteratura nuova; e cominciamo subito con un salmo d’attualità:
Dico che bisogna essere veggente, farsi veggente.
Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni, per conservarne soltanto le quintessenze. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il gran malato, il gran criminale, il gran maledetto, – e il sommo Sapiente! – Poiché giunge all’ignoto! Avendo coltivato la propria anima, già ricca, più di ogni altro! Giunge all’ignoto, e anche se, sbigottito, finisse col perdere l’intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe viste! Crepi pure, in quel balzo tra le cose inaudite e ineffabili: altri lavoratori orribili verranno; cominceranno dagli orizzonti sui quali l’altro è crollato!
– Il seguito fra sei minuti – […] Riprendo:
Dunque il poeta è veramente rubatore di fuoco.
A suo carico sono l’umanità e perfino gli animali; egli dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se quello che riporta da laggiù ha forma, darà forma; se è informe, darà l’informe. Trovare una lingua;
– Del resto, ogni dire essendo idea, il tempo di un linguaggio universale verrà! Bisogna essere accademico, – più morto d’un fossile, – per rifinire un dizionario, di qualsiasi lingua. I deboli che si mettessero a riflettere sulla prima lettera dell’alfabeto, potrebbero precipitare presto nella follia!
Questa lingua sarà anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e tira. Sarebbe compito del poeta definire la quantità d’ignoto che si ridesta nell’anima universale del suo tempo: egli darebbe di più – della formulazione del proprio pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormità che diverrebbe norma, assorbita da tutti, egli sarebbe veramente un moltiplicatore di progresso!
Questo avvenire, lo vede, sarà materialista. – Sempre ricchi di Numero e di Armonia, questi poemi saranno fatti per restare. – In fondo, sarebbe di nuovo un po’ la Poesia greca.
L’arte eterna avrebbe le proprie funzioni, così come i poeti sono cittadini. La Poesia non ritmerà più l’azione, sarà davanti.
Questi poeti saranno! Quando sarà infranto l’infinito servaggio della donna, quando ella vivrà per se stessa e grazie a se stessa, poiché‚ l’uomo, – fino a oggi abominevole, – l’avrà congedata, la donna sarà poeta, anche lei. Troverà la sua parte d’ignoto! I suoi mondi d’idee saranno diversi dai nostri? – Ella troverà cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose; le prenderemo. le comprenderemo.
Intanto, chiediamo ai poeti il nuovo, forme e idee. […] Lei sarebbe esecrando se non mi rispondesse: presto, perché fra otto giorni sarò a Parigi, forse.
Arrivederci, Charles Rimbaud”

Charleville, 15 maggio 1871

 

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