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Una frase di Paolo Borsellino per la Giornata in ricordo delle vittime delle mafie

In occasione della "Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie", vi proponiamo oggi una frase di Paolo Borsellino, tratta dall'ultima intervista dei giudice eroe pochi giorni prima dell'attentato di via D'Amelio

Oggi 21 marzo ricorre la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”. Per iniziare la giornata, vi proponiamo una frase di uno dei simboli della lotta alla mafia Paolo Borsellino, magistrato italiano nato il 19 gennaio 1940 e vittima di Cosa nostra nella strage di via D’Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta, avvenuta il 19 luglio 1992.

“Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”

“La gente fa il tifo per noi”, il commovente discorso di Paolo Borsellino

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Ricordiamo Paolo Borsellino attraverso le sue toccanti parole proferite durante il suo ultimo discorso in onore di Giovanni Falcone.

Un inno alla partecipazione attiva per sconfiggere la mafia

Il vero amore, di cui parla Borsellino in questo estratto di intervista rilasciata poco prima della scomparsa del giudice-eroe, è un inno al coraggio, un invito alla partecipazione attiva verso un miglioramento di se stessi e della società in cui si vive

Paolo Borselllino parla dell’amore per qualcosa che non accettiamo e che non ci piace legato all’intento di poterlo cambiare; questa citazione, così come tutta la sua vita dedicata alla lotta alle mafie, è il racconto di un percorso accidentato che permette di riconoscere ciò che non funziona e che sarebbe il caso di cancellare.

La Sicilia è sempre stata il centro dei pensieri e delle azioni del magistrato; è stata la terra amata e odiata, da salvare; è stata la cartina di tornasole che ha svelato rapporti e infiltrazioni che raccontano di un’Italia violenta e corrotta e di un’organizzazione tentacolare che ha tenuto sotto scacco politici e istituzioni.

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Dopo le stragi nelle quali persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lo stato italiano ha introdotto l’educazione alla legalità

La Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie

Ogni anno, a partire dal 1996, il 21 marzo l’associazione Libera e Avviso Pubblico, insieme alle scuole e ai cittadini, celebrano la “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, riconosciuta dal 2017 con legge del Parlamento.

In questa giornata, ci si ritrova per un momento di riflessione in ricordo di tutti gli innocenti morti per mano delle mafie.

Paolo Borsellino, simbolo della lotta alla mafia

Uno dei simboli della lotta alla mafia, da ricordare con il suo esempio in giorni come questi, è certamente Paolo Borsellino.

Ci sono eventi che proprio non si riescono a dimenticare, ed è un bene, perché la forza della memoria serve proprio a non lasciare andare mai via delle emozioni che ci hanno cambiato la vita. Sfido chiunque, compresi mafiosi o persone in odore di mafia, a non riconoscere che dal giorno dell’attentato a Paolo Borsellino il nostro Paese non è stato più lo stesso.

Per alcuni questo cambiamento sarà stato in meglio: la scomparsa dell’ultimo capo del pool antimafia di Palermo è stato l’inizio di una presa di consapevolezza, l’emozione di appartenere ad una storia, ad una collettività di persone che credono nella giustizia e nella lotta a un “potere” che pensa di poter agire come stato alternativo allo stato di diritto, iniziata con la marcia di 10 mila cittadini inferociti che urlano “fuori la mafia dallo stato” mentre le bare degli Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina, gli agenti uccisi insieme al magistrato, stanno uscendo dalla Cattedrale di Palermo.

Il video di Borsellino, "Che senso ha la scorta di mattina, per essere ucciso di sera?

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Oggi in Senato è stato proiettato un video inedito di Borsellino che protesta la mancata protezione da parte della Commissione Antimafia

L’ultimo saluto al giudice-eroe

Il 19 luglio 1992, pochi mesi dopo la perdita dell’amico e collega Falcone nella strage di Capaci, Paolo Borsellino è inquieto. Dopo il bagno, torna alla sua villa sul mare, a Villagrazia di Carini, per riposarsi un pò ma non riesce. Fuma a letto una sigaretta dopo l’altra, poi si infila dei jeans e una polo, prende la sua agenda rossa e il pacchetto di Dunhill, da cui non si separava mai e va a salutare gli amici di sempre, che vivono nella villa di fianco.

Bacia e abbraccia tutti, con uno slancio che non era solito avere e si congeda, spiegando che andrà a prendere la madre per accompagnarla ad una visita medica. La Croma blindata parte sgommando alla volta di Palermo, mentre la seconda scorta fa da apripista. Alle 16:58 una 126, imbottita con 100 kg di tritolo, esplode in via D’Amelio, davanti all’ingresso del palazzo in cui abita la madre. Si salverà solo Antonio Vullo, l’agente di scorta che non aveva avuto il tempo di scendere dall’auto blindata.

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