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Le parole italiane di cui spesso si sbaglia l’uso

Ci sono diverse parole italiane che spesso vanno incontro a diverse interpretazionI nel loro utilizzo quotidiano. Ecco alcuni esempi

MILANO – Dopo la diatriba legata all’utilizzo dell’espressione “scendi il cane”, in rete, come al bar, è un continuo proliferarsi di dubbi e perplessità circa il corretto uso di alcune parole e locuzioni italiane. A cercare di fare chiarezza in merito ci prova Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche.

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Può un film sedurre una persona?

Sedurre significa, propriamente,  “condurre a sé”, quindi piegare una persona ai propri desideri.  I vocabolari lo attestano anche con il significato di “avvincere”, “piacere”, “attrarre”, “commuovere”, “dilettare” e simili: quel film mi ha proprio sedotto. Un film come può sedurre una persona? Come può piegarla ai propri voleri? Gli amanti della buona lingua usino il predetto verbo, quindi, solo nel significato proprio.

Paracadute o paracaduti?

Siamo rimasti “paralizzati” nel vedere che molti “scrittori” pluralizzano il sostantivo “paracadute” in “paracaduti“. Il termine in oggetto è un nome composto di una voce verbale (parare) e un sostantivo femminile plurale (cadute) e i vocaboli così composti nella formazione del plurale mutano soltanto l’articolo: il paracadute, i paracadute.

Si può dire ripugnevole?

I vocabolari dell’uso non attestano “ripugnevole” ma “ripugnante”.  A nostro modo di vedere, invece, sarebbe da registrare perché è formato con il suffisso -evole. Da biasimare abbiamo biasimevole, da bisognare bisognevole ecc.; perché da ripugnare non dovremmo avere ripugnevole? Ripugnevole si trova, comunque, in alcune pubblicazioni.

Osservare o rimarcare?

Il verbo rimarcare, dal “sapore” francesizzante (è tratto, infatti, dal francese remarquer), significa “marcare di nuovo”. Non ci sembra corretto usarlo con il significato di “osservare”, “notare”, “considerare”, “rilevare” e simili: Giuseppe gli ha fatto rimarcare il suo comportamento indecoroso. I vocabolari, però…  Ma tant’è.

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L’alternativa (e il dilemma)

Due parole sull’uso corretto di “alternativa”.  Abbiamo notato che buona parte dei così detti mezzi di comunicazione di massa ignora il buon uso del termine e lo adopera a sproposito. I grammatici sostengono, dunque, che per alternativa si deve intendere una scelta, o meglio una possibilità di scelta fra due termini e non come una delle possibilità che la scelta stessa concede. La frase, per esempio, “l’alternativa è o morire o combattere” è correttissima in quanto esiste un’«alternativa», vale a dire la possibilità di scegliere di combattere o di morire. Se diciamo, invece, «non ha altra alternativa che morire» il discorso è agrammaticale, anzi insensato, perché non esiste possibilità di scelta. Che fare, quindi, in caso di dubbio sul corretto uso di alternativa? Seguire i consigli di alcuni grammatici: sostituire “alternativa” con “dilemma”. Se il discorso “fila”, cioè ha un senso, l’uso di alternativa è corretto, altrimenti no.

 

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