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Com’è cambiato il modo di vedere l’arte oggi?

Ce lo spiega la critica d'arte Francesca Alfano Miglietti (FAM) nel suo libro "A perdita d’occhio. Visibilità e invisibilità nell'arte contemporanea"

MILANO – Oggi le immagini, foto o video che siano, sommergono costantemente la società che ingloba, assume ed infine “accumula” contenuti visivi di ogni tipo. In questo contesto dove il mondo è dominato dalle immagini, com’è cambiato il modo di vedere la cultura e in particolare l’arte? A questo proposito interviene Francesca Alfano Miglietti (FAM), teorica e critica dell’arte autrice del libro “A perdita d’occhio. Visibilità e invisibilità nell’arte contemporanea”.

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“Ricominciare a vedere l’arte”

Il libro si presenta in maniera singolare già per la scelta dell’immagine di copertina: un rasoio che sta per tagliare l’occhio di una donna; in realtà quest’immagine è il fotogramma più celebre del noto film surrealista del 1929 “Un chien andalou”, di Luis Buñuel e Salvador Dalí. Sebbene il fotogramma in questione faccia ancora effetto per la sua crudezza, in realtà si ricollega a quella tematica del “vedere”, della “visione” che affronta Francesca, poiché il “taglio” dell’occhio non è altro che la metafora di un cambiamento, di un “iniziare a vedere le cose in modo diverso”. Il tutto, all’interno del libro, si ricollega con il mondo dell’arte contemporanea passando attraverso l’analisi di artisti come Fabio Mauri, Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Oscar Muñoz, Claudio Parmiggiani, On Kawara tra gli altri.

L’intervista

Abbiamo partecipato alla presentazione del libro (a cui erano presenti come relatori, il critico cinematografico Gianni Canova, lo stilista Romeo Gigli e l’astrologo Marco Pesatori) e inseguito abbiamo intervistato l’autrice per alcuni approfondimenti:

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
Il ‘fastidio’ verso l’onnipotenza delle immagini nella società dello spettacolo. Il libro nasce da questo disagio e dalla consapevolezza che i viaggi più belli sono quelli che gli occhi accolgono con la memoria, il passaggio che penetra nel linguaggio visivo e critico del nostro corpo lasciando amplificazioni che suggeriscono la scoperta.
Scoprire è il linguaggio. In un bosco un agronomo ed una persona che vive in città non ‘vedono’ le stesse cose, i processi percettivi sono completamente diversi. La noia della visione produce una vista da correggere. Se questo è vero nella realtà ancor di più è vero nell’arte, dove è possibile vedere solo quello che già si conosce.

Perché la scelta dell’arte contemporanea come punto di analisi centrale di quel tema che è la “visione”, il “guardare”, l’”osservare”?
Perché è di questo che mi occupo ed è questo che indago giorno per giorno; e giorno per giorno mi rendo conto di quante sono le opere che per loro natura, per scelta dell’artista, si sottraggono al loro destino di diventare semplici immagini.

Il contemporaneo spesso mette lo spettatore davanti a qualcosa che non riesce a comprendere perché non immediato, perché sembra che parli un linguaggio cifrato e indecifrabile. C’è un modo per comprendere questo messaggio senza essere un esperto o un conoscitore dell’arte contemporanea? Quali consigli daresti ad uno spettatore non esperto che si trova davanti ad un’opera di arte contemporanea e non la capisce?

Io cerco di capire studiando, come avviene per tutte le cose del mondo… facendomi delle domande, interrogando quello che ‘vedo’, non avendo pregiudizi, e soprattutto non pensando che quello che non capisco lo rifiuto. Perché non ci facciamo questa domanda nei confronti della Divina Commedia di Dante Alighieri o rispetto all’Odissea o nei confronti di un’opera di Joice? Non ci facciamo questa domanda perché sappiamo che se non studiamo non possiamo leggere la Divina Commedia come fosse il resoconto di un fatto di cronaca…Ci hanno spiegato, da piccoli, che bisogna studiare per capire. Nell’arte questo non succede, e molti pensano che semplicemente guardando si possa capire un’opera. Io non lo so se c’è un modo di capire l’arte così… io banalmente quello che capisco lo capisco studiando. E comunque non credo ci sia differenza nel guardare un’opera d’arte antica o contemporanea. Anche guardando un’opera antica se non so la narrazione che vive dietro l’opera non ‘vedo’ nulla…

Se il contemporaneo pone questi ostacoli e il vederne le opere lascia spiazzato l’osservatore perché lo mette di fronte ad un qualcosa di complesso, la soluzione per comprendere l’arte contemporanea è quella di “tagliare l’occhio” per iniziare a “vedere” oltre ciò che si è visto fino ad ora? È forse questo il “metodo” di visione e di osservazione? Vedere non con gli occhi ma con l’animo?

Il contemporaneo non pone nessun ostacolo al vedere… L’arte non è un gioco ad ostacoli… Siamo solo viziati dal piattume della civiltà delle immagini che ci vuole convincere che tutto è rappresentabile, immediatamente comprensibile e che siamo tutti in grado di fare e capire tutto… Ma questo accade non solo per quel che riguarda l’arte, accade per tutti i settori della conoscenza: ci sentiamo tutti medici, giudici, allenatori di calcio, attori e maestri di scuola. Invece non siamo nulla di tutto questo, e se non abbiamo coscienza che dobbiamo pretendere della competenza nell’interlocutore, tutto si abbassa di livello… che è quello che sta succedendo. Vedere è vedere con la mente, con la conoscenza, con la sensibilità, con le proprie passioni, con la curiosità…e non preoccuparsi esclusivamente di un solo aspetto del complesso processo visivo: l’aspetto fisiologico. Molti concentrano la loro attenzione esclusivamente sugli occhi e nulla affatto sulla mente che si serve degli occhi per vedere.

 

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