Sei qui: Home » Libri » “La banalità del male”, perché leggere oggi Hannah Arendt

“La banalità del male”, perché leggere oggi Hannah Arendt

Come si spiega l'odio nel mondo? Rispondere riporta a galla quanto pensavamo di aver sconfitto: la banalità del male di cui parla Hannah Arendt

La banalità del male oggi: come si spiega l’ondata di odio che vediamo nel mondo? Rispondere a questa domanda oggi è difficile e doloroso. La guerra in Ucraina e il conflitto Israele-Palestina riportano a galla quanto pensavamo di aver sconfitto dopo la seconda guerra mondiale: l’insensatezza del male.

O meglio ancora, la sua banalità. Non possiamo rimanere indifferenti, non possiamo fingere che tutto questo non ci riguardi, che “noi non lo faremmo mai”.

Dal fenomeno degli hater sui social all’odio ai conflitti in Ucraina sulla striscia di Gaza, tutto ciò è la riprova che Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense nata il 14 ottobre 1906 e scomparsa il 4 dicembre 1975, aveva ragione quando parlava di banalità del male.

Il processo ad Adolf Eichmann

A distanza di 15 anni dal processo di Norimberga, in cui furono condannati ventiquattro dei più importanti gerarchi nazisti, nel 1961 un anonimo tedesco fu catturato in Argentina.

Si trattava di Adolf Eichmann, uno degli organizzatori delle deportazioni, che fu processato in Israele nel 1961, attirando l’attenzione dei media di tutto il mondo.

Tra i molti osservatori del processo c’era la filosofa Hannah Arendt, che voleva capire come un uomo avesse potuto prendere parte agli orrori dell’Olocausto

Che cosa ci stupisce della testimonianza di Eichmann

Eichmann aveva costretto migliaia di ebrei a fuggire dai paesi occupati. Li aveva privati dei loro beni e aveva organizzato i convogli che deportavano gli ebrei verso i campi di concentramento. Aveva dunque impiegato il proprio ingegno e la propria capacità organizzativa per condannare a morte migliaia di persone.

Dalla testimonianza di Eichmann al processo, tuttavia, non emerse il profilo di un uomo crudele e sanguinario.

Agli occhi di Hannah Arendt, Eichmann si rivelava banalmente per quello che era: un mediocre burocrate, che nella questione ebraica aveva visto un’occasione per fare carriera. Egli non accettava di essere considerato colpevole “nel senso indicato dall’accusa”, perché non aveva mai materialmente ucciso nessuno.

Era stato semplicemente un cittadino ligio agli ordini: un uomo “normale” nella Germania nazista.

Via: Zanichelli

Cosa intende Hannah Arendt per banalità del male?

Le azioni criminali di Eichmann e degli altri gerarchi non erano le azioni di uomini mostruosi e demoniaci. Erano uomini normali, Eichmann era un uomo normale, troppo normale. La banalità del male si trovava nell’incapacità di rendersi conto di quello che si stava compiendo.

Eichmann era talmente asservito a quella che per lui era normalità da non essere capace di pensare cosa stesse facendo, quali fossero le sue azioni e le conseguenze da esse derivate.

Il filosofo francese Jean-François Lyotard, sulla scia delle riflessioni della Arendt, argomenterà successivamente che nella società nazista era mancato il tempo della riflessione e della scelta.

Cosa pensava Hannah Arendt

Il pensiero di Arendt ha l’intento di fornire delle soluzioni pratiche a problemi come quello della condizione umana, dell’alienazione e della sopraffazione totalitaria per trovare la via d’uscita mediante l’autorealizzazione.

© Riproduzione Riservata