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“Naviganti nelle tenebre”, per chiunque abbia voglia di libri veri

Ci sono narrazioni che fanno entrare con garbo il lettore nei meandri delle storie e sanno tenerlo con il fiato sospeso, finché non arriva alla fine. Naviganti nelle tenebre di Carlo Mazza rientra tra questi romanzi.

Ci sono penne che con tocco leggero, lo lasciano immergere in pagine profondamente attuali, in cui i protagonisti diventano amici in carne ed ossa ed egli comincia a partecipare emotivamente alle vicende umane e professionali, mentre tutt’intorno i fatti di sangue e la corruzione dipingono a tinte fosche un affresco dei nostri tempi. Una di queste penne per me è quella di Carlo Mazza, un giallista con l’amore per la cucina e le cose belle, che nella vita è stato un bancario e che da qualche anno pubblica i suoi romanzi con la nota casa editrice E/0.

E se il primo, Lupi di fronte al mare, è stato la rivelazione del suo stile fresco e godibilissimo, capace di tenere incollato alle pagine anche chi, come me, non ama il genere, se il secondo Il cromosoma dell’orchideasi è dimostrato una vera e propria folgorazione, per l’intensità vibrante della narrazione, ora il suo Naviganti delle tenebre è stato un dono rinnovato di bella scrittura condivisa, che questa volta diventa ancora più accogliente e gustosa.

Il romanzo è ambientato a Bari, con i cinghiali nel Quartiere San Paolo e le case popolari assegnate con strani “criteri”, e si snoda fluido tra personaggi e vicende che daranno filo da torcere al capitano Bosdaves, irresistibile nella sua umanità che ce lo fa sentire ogni volta più vicino. Libro dopo libro, Mazza lo ritrae con pennellate di sapiente ritrattista e noi lettori non possiamo che affezionarci a questo personaggio, che continua a pensare alla seducente giornalista Martina che, a quanto pare, gli fa ancora girare la testa.

Questa volta è scomparsa Samira, una donna etiope che è l’unica superstite di una strage avvenuta molti anni prima nella palestra di un liceo. Appare chiaro subito che si tratta di un rapimento e, nelle parole a colori di Carlo Mazza, sembra di veder scorrere le immagini di un film: “Un sapore acre le invadeva la bocca. Volse lo sguardo intorno a sé e gli oggetti s delinearono lentamente. Scoprì con sgomento che i suoi polsi erano imprigionati da manette agganciate al ferro battuto della testata del letto.”

Le indagini sembrano procedere lente, poi  ad un certo punto la svolta, mentre riemergono gli scheletri nell’armadio di un passato che pesa come un macigno sul presente di una città corrotta.

Ci sono i faccendieri, i capoclan e le loro donne infelici, le vendette covate in segreto per anni, i crimini e il malaffare che si consumano sotto l’occhio indifferente di una Bari che fa finta di non vedere e preferisce festeggiare San Nicola con i fuochi d’artificio, anziché fermarsi ad osservare il carnevale di fuorilegge che le intride il midollo.

“L’esito giudiziario della vicenda condannò un solo responsabile, favorendo l’interpretazione dell’omicidio come un episodio occasionale.  Così la città si proclamò innocente.”

E ci sono i migranti, questa volta, nella scrittura di Carlo Mazza, che è capace di lasciar scorrere le pagine leggere, eppure di far riflettere con serietà sui grandi temi dell’attualità. Come solo un grande scrittore potrebbe fare, con quella leggerezza Calviniana che diventa valore inestimabile.

“La sua vita era cambiata con l’arrivo di Samira. Insieme discorrevano di poesia e confidavano nel futuro. Soprattutto per questo Paulos era lì: nutrire il sogno di viverci con la donna amata.”

Scrive della sua Bari, Carlo Mazza, ma è una Città che appartiene a chiunque, perché è un luogo di oggi che si svela nelle sue indecenze si confronta con i problemi dei nostri giorni. I personaggi ci portano per mano nelle sue strade, nei suoi profumi. E sui nostri passi, anche quando andiamo a Bitonto nella villa di Toreseduto, veglia sempre lo sguardo buono dello Scrittore, che possiede il dono dei grandi: l’ironia.

Sembra guardare tutto con distacco, poi all’improvviso ci sono degli squarci sulla tela che rivelano la sua umana e profonda partecipazione interiore. “Non mi curo più né degli uomini né delle donne. La testa è in confusione e il corpo è casto. Condizione meno spaventosa di quanto si creda.”

Ed è allora che ci rinnamoriamo delle sue pagine, che diventano un faro nelle tenebre, per chiunque abbia voglia di libri veri e non di pagine da sfogliare sotto l’ombrellone.

 

Maria Pia Romano

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