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Le 10 fotografie che hanno commosso il mondo

Fermare la storia in scatti diventati memorabili perché in grado di cogliere l’attimo esatto. Ecco le dieci foto più toccanti della storia, che spingono a meditare a fondo

MILANO – Raccontare la storia è difficile, e mai scontato. Le parole possono far cadere in errore, possono essere modellate sulle nostre ideologie, possono omettere o accentuare; le immagini no. Le fotografie immortalano la realtà, bella o brutta che sia, straziante o commovente e lo fanno con una “precisione” che però non è mai sterile. Abbiamo assistito ad un esempio eloquente appena ieri, con la foto del piccolo Aylan, che è stata mostrata su tutti i giornali e che ha sconvolto l’opinione pubblica. Ecco 10 scatti che, come quello del piccolo profugo siriano, hanno sconvolto le nostre vite e sono riusciti a far urlare le nostre emozioni.

“Il rivoltoso sconosciuto”, di Jeff Widener – La foto ritrae un ragazzo cinese divenuto famoso in quanto, durante la protesta di piazza Tienanmen del 5 giugno 1989 a Pechino, si parò davanti a dei carri armati per fermarli. Sono state scattate diverse fotografie del ragazzo, in piedi di fronte ai carri armati Tipo 59 del governo cinese, sbarrandogli il passo. La versione più diffusa della famosa immagine è quella scattata dal fotografo Jeff Widener (Associated Press) dal sesto piano dell’hotel di Pechino, lontano all’incirca 800 metri, con una macchina fotografica dotata di un obiettivo da 400 mm e di un moltiplicatore di focale. Un’altra versione è quella del fotografo Stuart Franklin della Magnum Photos. La sua fotografia è più vasta rispetto a quella di Widener, e mostra più carri armati di fronte al ragazzo. Nel 2003 è stata inserita nella rubrica “Le 100 foto che hanno cambiato il mondo” della rivista Life. Varie versioni dell’immagine sono state trasmesse dalla CNN e la BBC, attraverso dei filmati, in tutto il mondo. Nel 1989 il fotografo Charlie Cole, Newsweek, vinse il premio World Press Photo con lo scatto che è diventato il simbolo della rivolta contro il governo cinese. Questa fotografia raggiunse tutto il mondo in brevissimo tempo. Divenne il titolo di testa di tutti i giornali e delle maggiori riviste, divenendo il personaggio principale di innumerevoli articoli in tutto il mondo; nell’aprile del 1998, la rivista Time ha incluso “Il Rivoltoso Sconosciuto” nella sua lista de “Le persone che più hanno influenzato il XX secolo”. Ma come la stessa rivista scrive, citando uno dei leader del movimento pro-democratico cinese, “gli eroi nella fotografia del carro armato sono due: il personaggio sconosciuto che rischiò la sua vita piazzandosi davanti al bestione cingolato e il pilota che si elevò alla opposizione morale rifiutandosi di falciare il suo compatriota”

“Morte di un miliziano lealista”, di Robert Capa – Nel 1936, Capa diviene famoso in tutto il mondo per una foto scattata a Cordova, dove ritrae un soldato dell’esercito repubblicano, con addosso una camicia bianca, colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Questa foto è tra le più famose fotografie di guerra mai scattate. Fu pubblicata, per la prima volta, sulla rivista VU (23 settembre del 1936)[5], poi su Life, sul Picture Post e poi migliaia di altre volte. La foto è stata al centro di una lunga diatriba in merito alla sua presunta non autenticità.
Ad oggi, ancora non si sa se questa foto sia vera o finta: se Capa la scattò nel mezzo di un’azione di guerra o se, invece, la inscenò spacciandola per vera. Da anni gli esperti di fotografia continuano ad analizzala e a studiarla, confutando le informazioni date da Capa a riguardo, senza però arrivare a una conclusione definitiva.
Per molto tempo si è creduto che la foto fosse stata scattata a Cerro Muriano, vicino a Cordoba. Ma esaminando uno scatolone di negativi di Capa rinvenuto nel 2007 e analizzando il paesaggio sullo sfondo della foto sembra invece che si trattasse di un paese chiamato Espejo, distante 50 km da Cerro e lontano dalle battaglie della guerra civile. A favore dell’autenticità vi sono, d’altro canto, lunghe ricerche storiche condotte dal biografo di Capa Richard Whelan. Il miliziano sarebbe, in effetti, l’unico morto quel giorno, Federico Borrell Garcia, morto effettivamente a Cerro Muriano, nei pressi di Cordova, nel 1936, e la notizia sarebbe registrata negli archivi ufficiali.

“Segregated Water Fountains” di Elliott Erwitt – Carolina del Nord, 1950. Un uomo di colore beve nella fontana per neri, frutto della politica di segregazione e divisione razziale. In questo famoso scatto, Erwitt illustra cosa poteva significare un uomo di colore nei confronti della “supremazia” bianca. Nulla. Materiale di scarto, errori dovuti ad un difettoso processo embrionale. Il peggio del peggio che potesse esistere. Non a caso, in quella che potrebbe essere una parete di un bagno pubblico o un locale di ristoro vi è un erogatore d’acqua pulito, lucidato, con tanto di marchio di fabbrica. Pomelli e diffusore lustrati. In alto, ad altezza d’uomo una targa su cui appare la scritta “White”. Per i bianchi. Di poco a lato, a debita distanza di sicurezza perché, non si sa mai, infezioni, avvelenamenti, epidemie che questi neri possono sprigionare dai pori della loro pelle sporca o dall’alito marcio delle loro bocche, c’è un qualcosa collocabile tra un lavandino della carrozza di terza classe e qualcosa di simile all’orinatoio di Duchamp. Ovviamente avvolto dalla noncuranza, dalla sporcizia. In alto, ad altezza d’animale, una targa identica alla prima. Cambia la scritta però: “Colored”. Per i neri, gialli, rossi e tutti coloro con la pelle diversa da quella bianca.

“The Falling Man”, Richard Drew – L’uomo che cade è il frutto di una delle giornate più importanti di Drew, fotografo per Ap da circa 42 anni. L’11 settembre era in città per la New York Fashion Week. Appena sistemata l’attrezzatura, Drew ha ricevuto una telefonata che gli ha detto di andare via da lì. Presa al volo la metropolitana, si è ritrovato in Chambers Street, con le torri in fiamme proprio davanti a lui. “Ero tra la West Street and Vesey, proprio vicino il World Financial Center”, ricorda Drew. “Ero vicino ad un ufficiale di polizia e penso che fu lei a dire ‘Oddio, guarda là!’, prima di alzare entrambi lo sguardo in su e vedere le prime persone saltare giù dal palazzo”.
Furono più di 200 le persone che scelsero di morire saltando, quell’11 settembre. Dopo l’impatto del primo aereo, gli ostaggi delle fiamme hanno iniziato a saltare dalla Torre Nord e, guardarli buttarsi fuori dalla finestra, deve aver accelerato le procedure di evacuazione della gente che lavorava nella Torre Sud.
“Non sapevamo che avessero scelto di buttarsi”, ricorda Drew. “Li vedevamo solo cadere dal World Trade Center”.
“The Falling Man” è stata scattata alle 9.41 di quell’11 settembre ed è solo una di una serie di foto di persone che scelsero di buttarsi giù dal World Trade Center. “E ci sono almeno otto o nove scatti di quest’uomo in varie posizioni. Nel momento in cui la foto è stata scattata era in una posizione perfetta, una freccia dritta fra i due edifici. Non sono stato io a scattare. Quel frame è opera della macchina fotografica. Aveva quella simmetria, quel qualcosa che cattura lo sguardo”.

“Vancouver Riot Kiss”, di Richard Lam – Un tocco di romanticismo in mezzo alla violenza, a Vancouver nel 2011. In una città messa a ferro e fuoco dai tifosi della locale squadra di hockey sul ghiaccio che ha perso la Stanley Cup a favore dei Boston Bruins, una giovane coppia giace sdraiata in mezzo alla strada, si bacia. Lui sembra sollevarla leggermente, lei gli si aggrappa. Intorno, il caos e un poliziotto in tenuta antisommossa con tanto di scudo e manganello. Richard Lam è il fotografo che l’ha scattata mentre stava lavorando a un servizio sugli scontri. Stava scappando da un assalto della polizia quando a un certo punto ha adocchiato la coppia: “mi trovavo a circa 20-30 metri di distanza. C’erano queste due persone a terra, nella strada vuota. Per prima cosa ho pensato che una delle due fosse ferita. Ho notato che dietro la linea poliziotti c’erano due persone a terra e oltre loro gli scontri e le fiamme”. È riuscito a scattare qualche foto, poi è stato travolto dagli scontri.
Lam racconta che è stato il suo editore a suggerire che le due persone non erano ferite ma che si stavano baciando. “Tutti mi chiedono chi sono” racconta Lam “ma io non ne ho idea né sono riuscito a parlare con loro. Continuo a guardare quella foto ma non so più che pensare”.

Il saluto del “black power” – Olimpiadi del 1968 il saluto del Black Power: gli atleti afro americani Tommie Smith e John Carlos alzano i pugni nel saluto del “Potere Nero” ai Giochi Olimpici del 1968. Anche la medaglia d’argento, l’australiano Peter Norman indossava un distintivo a sostegno della loro protesta. Per questo gesto gli atleti sono stati espulsi dai giochi. Tommie Smith e John Carlos, primo e terzo nella finale maschile dei 200 metri, sollevano il pugno guantato di nero e portano il Black Power dentro il recinto sacro dello sport. Ascoltano l’inno senza scarpe, calzini neri, testa bassa. Alfieri di una razza povera e discriminata cui l’America concedeva dignità solo in cambio di successi sportivi. Con quel gesto entrarono nella storia, nella memoria e nei poster di una generazione. Icone di un’epoca di grandi cambiamenti che due atleti infiammarono pacificamente nel momento più alto della loro carriera, pagando quell’atto di coraggio civile con l’isolamento e l’ostracismo per tutta la vita.

“Stricken child crawling towards a food camp”, Kevin Carter – Conosciuta in Italia con il nome di “Bambino con avvoltoio” ma il cui titolo in lingua originale è “Stricken child crawling towards a food camp” questa foto di Kevin Carter, vinse il Pulitzer della fotografia nel 1994. Fu scattata un anno prima, nel Marzo del 1993 in Sudan, dove il giovane Carter si era recato, accompagnando una organizzazione umanitaria dell’ONU. È la sua foto più famosa: il ritratto di un bambino denutrito che accasciato a terra cerca di raggiungere il centro di aiuti e sullo sfondo un avvoltoio che lo osserva quasi ne stesse aspettando la morte.
Lo stesso Carter sarà testimone oltre che di questo episodio, anche di tanti altri episodi al limite della sopravvivenza che lo porteranno ad affermare:
“Ero sconvolto vedendo cosa stavano facendo. Ero spaventato per quello che io stavo facendo. Ma poi le persone hanno iniziato a parlare di quelle immagini… così ho pensato che forse le mie azioni non sono state poi così cattive. Essere stato un testimone di qualcosa di così orribile non fu necessariamente un male.”
Lo scatto dette vita a una serie di polemiche che indagavano il ruolo del fotografo nello scatto della foto. La gente cominciò ad interrogarsi sul destino del bambino e sulla moralità della fotografia. Carter non fu mai chiaro su quello che successe al momento dello scatto e raccontò diverse versioni della vicenda. Secondo alcune versioni avrebbe aiutato quella che si sarebbe rivelata una bambina, secondo altre avrebbe aspettato per 20 minuti il momento migliore per scattare mentre egli stesso afferma di aver fatto solo il suo lavoro di fotografo e testimone, consapevole di non poter far nulla per cambiare le sorti della bambina. Certo è che lo scandalo mediatico che si creò turbò profondamente Carter che, tormentato dall’immagine della bambina che gli ricorda la figlia piccola che riusciva a vedere solo raramente, cadde in profonda depressione. La sua popolarità crebbe rapidamente quando il New York Times acquistò la foto nel marzo 1993 facendola diventare uno dei simboli della devastazione africana.

Robert Peraza in ginocchio davanti al nome del figlio – Robert Peraza, che ha perso il figlio Robert David Peraza nell’attentato, si inginocchia davanti al nome del figlio inciso tra quelli delle altre vittime e si ferma a pregare, in occasione del decimo anniversario dell’undici settembre, al Memorial del World Trade Center.

Caduta del muro di Berlino – Una foto che ritrae le prime picconate simbolo della caduta del Muro di Berlino. La foto riprende un berlinese dell’ovest colpito con un cannone ad acqua, mentre con una mazza si avventa contro il muro di Berlino. Questa immagine diventò una delle più iconiche della caduta del muro, testimoniando la fine dell’oppressione a Berlino e, in misura maggiore, la successiva caduta dell’Unione Sovietica stessa.

 

 

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