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L’arte sommersa di Hirst “riemerge” a Venezia

Dal 9 aprile a Venezia la mostra di Damien Hirst, artista inglese fra i più note al mondo: "Treasures from the Wreck of the Unbelievable"

MILANO – Ha aperto il 9 aprile a Venezia la mostra di Damien Hirst, artista inglese fra i più note al mondo. Treasures from the Wreck of the Unbelievable rimarrà in mostra fino al 3 dicembre negli spazi di Punta della Dogana e Palazzo Grassi: è la prima volta che entrambi gli spazi espositivi della Fondazione Pinault verranno dedicati, proprio nell’anno della Biennale, ad un unico artista. Solo questa informazione rende manifesta la previsione di pubblico che si prevede accorrerà in laguna per la mostra di Hirst, che arriva dopo dieci anni di assenza dalla scena italiana.

ARTE E COMMERCIO – Hirst è diventato noto al grande pubblico grazie a opere controverse quanto sensazionali: squali immersi nella formaldeide, quadri realizzati con ali di farfalla e teschi ricoperti di platino e diamanti. nel mondo dell’arte spesso Hirst è stato visto più come un abile manager di se stesso più che come un artista a tutto tondo. Questo si deve anche alla quotazione milionaria delle sue opere, ed alla sapiente strategia che Hirst applica nel creare interesse ed attesa verso le sue iniziative artistiche. Nel 2008 la vendita della sua produzione ha segnato un record storico delle aste d’arte legati ad artisti viventi: ben 111 milioni di sterline. Da all’ora l’attenzione attorno a Hirst è calata, soprattutto perchè l’artista inglese ha concentrato tutte le sue energie su un progetto che solo ora vede la luce.

ARTE RIEMERSA – La mostra veneziana è una vera “riemersione” di Hirst non solo dal suo isolamento artistico, ma dalla sua stessa arte, che l’ha tenuto legato ad uno stereotipo fisso. L’esposizione si basa un mockumentary studiato in ogni dettaglio, degno della fantasia di Borges.

Ci sono due storie, e mille letture delle stesse. La prima storia è quella della leggendaria nave Apistos, caricata con i tesori artistici del mondo antico raccolte dall’arricchito schiavo liberto Cif Amotan II affondata circa duemila anni fa a largo delle coste kenyote. In questa storia rientrano una spedizione di archeologia navale finanziata da Hirst, documentata con filmati e fotografie e testimoniata sulle pagine di alcuni prestigiosi giornali anglossassoni. Stando a questa versione, le oltre 180 opere in mostra a Venezia, sono il frutto di questa operazione. Ma qui entra in gioco la seconda storia. Le korai esposte nelle sale, seppur di fattezze arcaiche e coperte di incrostazioni marine, hanno i visi di Kate Moss. Un grande gruppo scultoreo riporta la lotta di Kalì con un’idra, mentre un ritratto di Hirst in fattezze classiche tiene per mano un Topolino coperto di concrezioni e conchigli. Il busto egizio presenta una somiglianza più che manifesta con la cantante caraibica Rihanna ed all’ingresso della mostra compare un calendario lapideo atzeco, difficilmente collocabile sul mercato mediterraneo del I secolo d.C

Nel mezzo sta il dubbio e lo stupore, la continua scoperta del visitatore, che si trova ad interagire con opere d’arte che al contempo appartengono ad Hirst senza esser dichiaratamente dell’autore, che anzi ne nega la paternità. Opere moderne che emergono da un passato atavico e mitico, in cui tutti gli stilemi dell’arte classica poggiano  su un unico “fondale”, lasciandosi ricoprire di sedimenti e creature viventi. Fondale che altro non è che la base profonda della mente di Hirst e della sua devozione verso l’arte del passato, spogliata della soggettività individuale dell’artista.

 

 

 

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