Quando i nostri figli erano piccoli, con le mie colleghe avevamo un’abitudine, al ritorno in ufficio dopo la pausa mensa: chiamavamo casa per sapere come andava. Ognuna aveva il suo stile, e le sue giornate, c’era chi sgridava e chi coccolava. Ma ricordo con raccapriccio una che, invariabilmente, ai suoi bambini chiedeva non tanto come era andata a scuola, ma direttamente che voti avevano preso. Poi li incalzava, voleva sapere che risultati avevano ottenuto i loro amici e, se erano andati meglio gli altri, diventava cattiva, li minacciava di ritorsioni,come il non portarli al cinema o al fast food. La guardavo come si guarda un orco, la trovavo detestabile, ritenevo che fosse un autentico danno quello che impartiva ai suoi bambini.
Ora, sul Corriere della Sera, leggo che in Francia si discute se abolire o meno i voti a scuola. E anche per la mia personale e stressante esperienza scolastica trovo che sia un riflessione importante. La scuola finalmente come luogo di apprendimento e non di sola valutazione. Non sto qui a dire quel che so del mondo scolastico oltre i nostri confini, ma sono dell’idea che comunque sia la nostra scuola pubblica resti – pur con tutti i suoi incredibili limiti – fra le migliori al mondo. Magari riserverei le votazioni alla scuola superiore, quando una formazione umana e culturale abbia dato ai ragazzi una preparazione adeguata per sopportare anche l’inevitabile giudizio degli altri. Purché siano la valutazione di ciò che hanno imparato e non di quello che non hanno ancora capito.
Gloria Ghisi
26 giugno 2014