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Nessun business può violare i diritti dell’individuo

Grosse discussioni in questi giorni per la decisione di disputare la sfida della Supercoppa italiana tra Juventus e Milan in programma il 16 gennaio a Jeddah. Ecco il nostro punto di vista

MILANO – In poche ore di prevendita la finale Supercoppa Italiana a Jeddah tra Juventus e Milan, in programma mercoledì 16 gennaio al King Abdullah Sports City Stadium, ha registrato il sold out. Ma il successo economico della scelta di disputare l’evento sportivo in Arabia Saudita comporta un ben altro prezzo alto da pagare: la non tutela del diritto di uguaglianza di genere.

A Jeddah, come in altri paesi dell’Arabia Saudita, la donna non ha le stesse opportunità degli uomini. Un  retaggio culturale, superato dalla cultura occidentale da qualche secolo, che si riversa anche nell’accesso ad eventi sportivi: nel caso specifico della finale di Supercoppa Italiana, le vendita dei biglietti sono riservati alle donne solo nei settori misti indicati come “families”, mentre agli uomini è dedicata un’altra tipologia di tagliandi per settori “singles”, che garantisce l’accesso libero a qualsiasi settore dello stadio. Si tratta, a nostro avviso, di una discriminazione di genere vera e propria, con l’aggravante che essa viene perpetrata nel corso di un evento “italiano” dalla portata internazionale.

Alcuni hanno auspicato che le squadre protagoniste della finale, Juventus e Milan, i cui tifosi in italia sia uomini sia donne possono frequentare gli stadi liberamente, diano un segnale forte di rifiuto ad ogni discriminazione minacciando di non scendere in campo il 16 gennaio a Jeddah. Sarebbe un bel segnale da dare a tutto in mondo, ma immaginiamo che gli interessi economici in ballo (basti pensare che La Lega Calcio per disputare tre delle prossime cinque edizioni della Supercoppa nei paesi arabi ha siglato un accordo per cui incasserà 22 milioni) faranno desistere qualsiasi tentativo di “sabotaggio” del match a favore del diritto di tutti gli esseri umani alle pari opportunità.

Non è una questione politica, né tanto meno religiosa: rispettare le culture altrui non vuol dire snaturare le proprie o dimenticare anni di lotte per l’emancipazione femminile che tutt’oggi vengono portate avanti. Basti pensare alla lotta per le pari opportunità portate avanti da donne come Rosa Luxemburg o dalle suffragettes, per non dimenticare le battaglie condotte nel Novecento in Italia da parte delle donne per ottenere il diritto al voto, alle ferie per la maternità, alle pari opportunità nel mondo del lavoro. Tutti questi traguardi raggiunti rischiano di venire messi di nuovo in discussione da quella che non è solo una partita di calcio, ma un evento che rientra all’interno dell’industria culturale italiana e che si è deciso di esportare all’estero.

Il presidente della Lega di Serie A Gaetano Micciché ha voluto precisare in una nota stampa che “le donne potranno entrare da sole alla partita senza nessun accompagnatore uomo, come scritto erroneamente da chi vuole strumentalizzare il tema: la nostra Supercoppa sarà ricordata dalla storia come la prima competizione ufficiale internazionale di calcio a cui le donne saudite potranno assistere dal vivo” e che “con il benestare di Fifa, Uefa e Confederazione asiatica stiamo andando a disputare una gara di calcio ufficiale in un Paese con proprie leggi sedimentate da anni, dove tradizioni locali impongono vincoli che non possono essere cambiati dal giorno alla notte”. Ciò non basta, a nostro modesto parere, per giustificare  la non tutela del diritto di uguaglianza e la discriminazione di genere a favore del “dio denaro”, in prospettiva anche di quello che potrà avvenire in occasione dei prossimi Mondiali di Calcio che si terranno in Qatar nel 2022.

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