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2 novembre, le poesie da dedicare ai defunti e ai loro cari

Il 2 novembre, in occasione della giornata di commemorazione dei defunti, abbiamo selezionato alcune tra le più belle poesie da dedicare a chi non c'è più

Il  2 novembre è il giorno dedicato alle persone che non ci sono più, a tutti quelli che la vita ha portato via.

In occasione della commemorazione dei defunti, abbiamo selezionato alcune tra le poesie più belle e toccanti da poter dedicare, anche solo idealmente, a chi non c’è più.

Il 2 Novembre è il giorno della memoria, il giorno in cui si ricorda chi ha sfiorato la nostra vita e che la vita ce l’ha donata.

Il 2 Novembre è solo un giorno della memoria, la memoria delle persone che si sono amate e che non ci sono più,

ma che vivono nei ricordi di ognuno di noi,

ogni giorno.

Stephen Littleword

2 novembre, le poesie da dedicare a chi non c’è più

Se dovessi morire di Emily Dickinson

Se io dovessi morire –
E tu dovessi vivere –
E il tempo gorgogliasse –
E il mattino brillasse –
E il mezzodì ardesse –
Com’è sempre accaduto –
Se gli Uccelli costruissero di buonora
E le Api si dessero altrettanto da fare –
Ci si potrebbe accomiatare a discrezione
Dalle imprese di quaggiù!
È dolce sapere che i titoli terranno
Quando noi con le Margherite giaceremo –
Che il Commercio continuerà –
E gli Affari voleranno vivaci –
Rende la partenza tranquilla
E mantiene l’anima serena –
Che gentiluomini così brillanti
Dirigano la piacevole scena!

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Assenza di una persona cara di Dietrich Bonhoeffer

Non c’è nulla che sostituisce l’assenza
di una persona cara.
Più bello e pieno è il ricordo,
più difficile è la separazione,
ma la gratitudine regala
nel dolore, una gioia tranquilla.
Si indossa la bellezza del passato
come un dono prezioso in sé.

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Chi è amato non conosce morte di Emily Dickinson

Chi è amato non conosce morte,
perché l’amore è immortalità,
o meglio, è sostanza divina.
Chi ama non conosce morte,
perché l’amore fa rinascere la vita
nella divinità.

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La morte non è una luce che si spegne di Rabindranath Tagore

La morte non è
una luce che si spegne.
È mettere fuori la lampada
perché è arrivata l’alba.

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Se mi ami non piangere di Agostino d’Ippona

Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.

Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.

Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!

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La morte è la curva della strada di Fernando Pessoa

La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.

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Morte non essere orgogliosa di John Donne

Morte, non essere troppo orgogliosa,
se anche qualcuno ti chiama terribile e possente
Tu non lo sei affatto: perché quelli che pensi di travolgere
in realtà non muoiono, povera morte, né puoi uccidere me.
Se dal riposo e dal sonno, che sono tue immagini,
deriva molto piacere, molto più dovrebbe derivarne da te,
con cui proprio i nostri migliori se ne vanno, per primi,
tu che riposi le loro ossa e ne liberi l’anima.
Schiava del caso e del destino, di re e disperati,
Tu che dimori con guerra e con veleno, con ogni infermità,
l’oppio e l’incanto ci fanno dormire ugualmente,
e molto meglio del colpo che ci sferri.
Perché tanta superbia? Perché tanta superbia?
Trascorso un breve sonno, eternamente,
resteremo svegli, e la morte non sarà più,
sarai Tu a morire.

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La morte non è niente di Henry Scott Holland

La morte non è niente, io sono solo andato
nella stanza accanto.
Io sono io. Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
Parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate mai un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva
ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa
come lo è sempre stato.
Senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra
di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non è spezzato.
Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano, sono solo dall’altro lato
del cammino.

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Solo la morte di Pablo Neruda

Vi sono cimiteri solitari,
tombe piene d’ossa senza suono,
se il cuore passa da una galleria
buia, buia, buia,
come in un naufragio dentro di noi moriamo
come annegando nel cuore
come scivolando dalla pelle all’anima.

Ci sono cadaveri
e piedi di viscida argilla fredda,
c’è la morte nelle ossa,
come un suono puro,
come un latrato senza cane,
che viene da campane, da tombe,
che all’umido cresce come pianto o pioggia

A volte vedo solo bare a vela/salpare con pallidi defunti, con donne dalle trecce morte
con panettieri bianchi come angeli,
con fanciulle assorte spose di notai,
bare che salgono il fiume verticale dei morti,
il fiume livido
in su con le vele gonfiate dal suono verticale della morte.
La morte arriva a risuonare
come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,
riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,
riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola.

La morte sta sulle brande;
sui materassi che affondano, sulle coltri nere
vive distesa, e all’improvviso soffia:
soffia un suono oscuro che gonfia le lenzuola;
e ci sono letti che navigano verso un porto
dove sta in attesa vestita da ammiraglio.

Questa poesia è piena di richiami, di parole suggestive che suggeriscono pensieri e suscitano forti emozioni. Le “ossa senza suono” dei morti; la morte che è come un annegamento che il cuore subisce, passando attraverso un buio profondo, per poi scivolare “dalla pelle all’anima”.

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La tartaruga di Trilussa

Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: “Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle…”
“lo sò” rispose lei “ma prima de morì,
vedo le stelle”.

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Elogio alla morte di Alda Merini

Se la morte fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un’acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poiché la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni senza un perché
o senza variare di senso
nel largo delle mie ginocchia,
a me non importa perché tu mi fai vivere,
perché mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza,
da quel miele tumefatto e impreciso
che è la morte di ogni poeta.

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Sulla Morte di Kahlil Gibran

Allora Almitra parlò dicendo: Ora vorremmo chiederti della Morte.
E lui disse:
Voi vorreste conoscere il segreto della morte.
ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.
poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.
Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;
E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.
confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell’eternità.
La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore.
In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l’impronta regale?
E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito?
Che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole?
E che cos’è emettere l’estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio?
Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.
E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.

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Se un giorno non mi vedessi più di Stephanie Sorrel 

Se un giorno non mi vedessi più varcare la soglia della porta
come sono solita fare,
alza gli occhi al cielo turchese di un nuovo giorno
e cercami fra le stelle che accendono la luce della volte celeste,
fra le odoroso ginestre gialle che incorniciano le nostre colline.
Cercami negli occhi di chi ami.
Cerami nel silenzio del tuo Cuore.

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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

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Se durassimo in eterno di Bertolt Brecht

Se durassimo in eterno
tutto cambierebbe,
dato che siamo mortali
molto rimane come prima.

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La vita, è come un dente di Boris Vian

La vita, è come un dente
All’inizio non ci si pensa
Ci si accontenta di masticare
Ma poi ecco che d’improvviso si guasta
Fa male, e preoccupati
Lo si cura non senza fastidi
E per essere veramente guariti,
Bisogna strapparla, la vita.

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La Collina di Edgar Lee Masters

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felicie?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.
Una morì di un parto illecito,
una di amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag –
tutt, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione? *
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra,
e figlie infrante dalla vita,
e i loro bimbi orfani, piangenti –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dov’è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant’anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all’amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.

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E la morte non avrà più dominio di Dylan Thomas

E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché ammattiscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché matti e morti stecchiti,
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino e che il sole precipiterà,
E la morte non avrà più dominio.

‘A livella di Antonio De Curtis in arte Totò

Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza
Per i defunti andare al Cimitero
Ognuno ll’adda fà chesta crianza
Ognuno adda tené chistu penziero
Ogn’anno, puntualmente, in questo giorno
Di questa triste e mesta ricorrenza
Anch’io ci vado, e con dei fiori adorno
Il loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza
St’anno m’é capitato ‘navventura
Dopo di aver compiuto il triste omaggio
Madonna, si ce penzo, e che paura!
Ma po’ facette un’anema e curaggio
‘O fatto è chisto, statemi a sentire
S’avvicinava ll’ora d’à chiusura
Io, tomo tomo, stavo per uscire
Buttando un occhio a qualche sepoltura
“Qui dorme in pace il nobile marchese
Signore di Rovigo e di Belluno
Ardimentoso eroe di mille imprese
Morto l’11 maggio del’31”
‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto
Sotto ‘na croce fatta ‘e lampadine
Tre mazze ‘e rose cu ‘na lista ‘e lutto
Cannele, cannelotte e sei lumine
Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e stu signore
Nce stava ‘n ‘ata tomba piccerella
Abbandunata, senza manco un fiore
Pe’ segno, sulamente ‘na crucella
E ncoppa ‘a croce appena se liggeva:
“Esposito Gennaro – netturbino”
Guardannola, che ppena me faceva
Stu muorto senza manco nu lumino
Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo
Chi ha avuto tanto e chi nun ave niente
Stu povero maronna s’aspettava
Ca pur all’atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero
S’era ggià fatta quase mezanotte
E i’rimanette ‘nchiuso priggiuniero
Muorto ‘e paura… nnanze ‘e cannelotte
Tutto a ‘nu tratto, che veco ‘a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse ‘a parte mia
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano
Stongo scetato… dormo, o è fantasia?
Ate che fantasia; era ‘o Marchese
C’o’ tubbo, ‘a caramella e c’o’ pastrano
Chill’ato apriesso a isso un brutto arnese
Tutto fetente e cu ‘nascopa mmano
E chillo certamente è don Gennaro
‘Omuorto puveriello’ o scupatore
‘Int ‘a stu fatto i’ nun ce veco chiaro
So’ muorte e se ritirano a chest’ora?
Putevano sta’ ‘a me quase ‘nu palmo
Quanno ‘o Marchese se fermaje ‘e botto
S’avota e tomo, tomo, calmo, calmo
Dicette a don Gennaro: “Giovanotto!”
Da Voi vorrei saper, vile carogna
Con quale ardire e come avete osato
Di farvi seppellir, per mia vergogna
Accanto a me che sono blasonato!
La casta è casta e va, si, rispettata,
Ma Voi perdeste il senso e la misura
La Vostra salma andava, si, inumata
Ma seppellita nella spazzatura
Ancora oltre sopportar non posso
La Vostra vicinanza puzzolente
Fa d’uopo, quindi, che cerchiate un fosso
Tra i vostri pari, tra la vostra gente
“Signor Marchese, nun è colpa mia
I’nun v’avesse fatto chistu tuorto
Mia moglie è stata a ffa’ sta fesseria
I’ che putevo fa’ si ero muorto?
Si fosse vivo ve farrei cuntento
Pigliasse ‘a casciulella cu ‘e qquatt’osse
E proprio mo, obbj’… ‘nd’a stu mumento
Mme ne trasesse dinto a n’ata fossa”
“E cosa aspetti, oh turpe malcreato
Che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
Avrei già dato piglio alla violenza!”
“Famme vedé.-piglia sta violenza
‘A verità, Marché, mme so’ scucciato
‘E te senti; e si perdo ‘a pacienza
Mme scordo ca so’ muorto e so mazzate!
Ma chi te cride d’essere, nu ddio?
Ccà dinto, ‘o vvuo capi, ca simmo eguale?
Muorto si’tu e muorto so’ pur’io;
Ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale”
“Lurido porco! Come ti permetti
Paragonarti a me ch’ebbi natali
Illustri, nobilissimi e perfetti
Da fare invidia a Principi Reali?”
“Tu qua’ Natale, Pasca e Ppifania
T”o vvuo’ mettere ‘ncapo’ int’a cervella
Che staje malato ancora è fantasia?
‘A morte ‘o ssaje ched”e? è una livella.
‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo
Trasenno stu canciello ha fatt’o punto
C’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme
Tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssenti, nun fa”o restivo
Suppuorteme vicino-che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive
Nuje simmo serie, appartenimmo à morte!”

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