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Natale vietato a scuola, è veramente questa la via per un effettivo multiculturalismo?

Il caso più noto, che ha scatenato più polemiche è l’istituto comprensivo “Garofani” di Rozzano il cui dirigente – per rispetto degli studenti non cristiani – ha vietato le celebrazioni religiose di Natale, sostituendole con un concerto di inverno che si svolgerà il 21 gennaio. Episodi più o meno simili si sono verificati nel resto della penisola: alle elementari Fermi di Bobbiate (Varese), di Sassari è stata proibita la benedizione delle prossime feste natalizie.

Ma è veramente questa la via per un effettivo multiculturalismo, cioè rinunciare al proprio culto religioso – simbolo culturale della propria identità per rispettare il credo di coloro che hanno deliberatamente di vivere nel nostro Paese? E’ questa la via giusta per affermare il reciproco rispetto, specie delle nuove generazioni? La domanda sorge spontanea, soprattutto se è vero che la scuola è la maggiore agenzia educativa sulla quale il Presidente del Consiglio vuole investire per una effettiva convivenza sociale della popolazione.

Sull’argomento il sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione ha affermato: “La decisione che si fregia del vanto del rispetto dell’alterità, è al contrario una decisione miope, presa da chi ancora confonde l’inclusione con il quieto vivere”. Parole come pietre. Infatti, se vietare canti come “Tu scendi dalle stelle” nel nome della laicità è considerata “l’unica forma possibile di integrazione, in realtà è “una soluzione di comodo che, invece di creare coesione sociale, non fa altro che alzare barriere di risentimento e diffidenza ”.

In effetti, vietare i canti di Natale – la più trasversale delle feste – significa penalizzare i valori che uniscono tutti, al di là di appartenenze e delle singole fedi religiose, impedendo cosi la reciproca conoscenza, poiché nel campo scolastico la diversità crea ricchezza, dialogo, integrazione. Nella scuola dei tempi in cui viviamo la tolleranza e il reciproco rispetto sono alla base della conoscenza e i canti natalizi, oltre al loro significato religioso, diventano simboli dell’identità culturale italiana. Pertanto, gli episodi di cronaca di questi giorni si prestano a una seria riflessione sul tema di una sana integrazione multiculturale in quanto non c’è dubbio che essa passi attraverso ciò che unisce e non divide, come sono le tradizioni, i riti.

A dire parole chiarificatrici in questo senso è intervenuta anche la ministra della Pubblica Istruzione che in una lettera al Corriere della Sera, dopo aver reso atto dei “tempi complessi che stiamo attraversando” afferma che “le politiche educative tornano al centro del dibattito e acquisiscono una funzione inedita e potente”, impongono “a tutti — politici, famiglie, insegnanti soprattutto, che ogni giorno sono in classe, e cittadini in genere — un duplice dovere”, “progettare una scuola diversa e più forte, plurale e unita, capace di dialogo, reciproca conoscenza e confronto costante, quotidiano. Ciò significa valorizzare i simboli di tale identità e non nasconderli, siano essi laici (tutti abbiamo visto cosa vale una bandiera nella Francia di oggi) o religiosi” E aggiunge opportunamente: “Il presepio non è più un simbolo di potere da abbattere o da difendere e non è nemmeno la figura di un relativismo prêt-à-porter.

È la traccia di una storia plurale, nella quale si iscrivono altre storie, degne di conoscenza e rispetto”. E la ministra conclude: “Se tutti condividiamo l’ambizione di vedere la scuola come luogo principale di trasmissione e condivisioni dei nostri valori e di integrazione con i valori di altre comunità che sono ormai parte integrante della nostra società, allora a tutti spetta di trattare quanto succede in ogni scuola con prudenza e rispetto”. Sono riflessioni sulle quali non si può non convenire. Dovrebbero tenerle a mente quanti hanno responsabilità educativa nella scuola e non.

Giuseppe Sangregorio

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