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Il diario di Bridget Jones e gli stereotipi di genere

Era il 2001 quando usciva al cinema "Il diario di Bridget Jones", con Renée Zellweger, ispirato all'omonimo Best Seller di Helen Fielding.

Stasera 5 dicembre 2023 su “Canale 27” alle ore 21: 10 andrà in onda “Il diario di Bridget Jones”. Se pensate allo stereotipo della donna single, senza dubbio vi viene in mente la protagonista del film: Bridget Jones. Forse ve la ricordate in pigiama di flanella, mentre canta in playback “All By Myself” di Jamie O’Neal, accanto a una bottiglia di vino vuota e un piatto di mozziconi di sigaretta. Ebbene sono già passati oltre vent’anni dalla trasposizione cinematografica del best seller di Helen Fielding “Il diario di Bridget Jones” (ispirato dichiaratamente – e anche molto liberamente – a Orgoglio e pregiudizio).

L’indimenticabile Bridget Jones

Nel 2001 anni fa usciva nella sale “Il diario di Bridget Jones”, con Renée Zellweger, Hugh Grant e Colin Firth, film entrato a far parte del nostro immaginario collettivo. Una delle commedie simbolo degli anni 2000, ma che, rivista oggi, appare come ‘superata’. Infatti, mentre il film fa del suo meglio per prendere in giro gli stereotipi della vita da single, approva anche molti di essi. Fin dall’inizio, sembra che il film voglia fare una satira sulla visione stereotipata delle donne single come tristi e sole.

Ma Bridget si esamina costantemente, contando le calorie e annotando il suo peso. Mette pressione su se stessa per fare più esercizio, bere meno e cambiare abitudini nella sua ricerca dell’amore romantico. Questo presenta la condizione di single come un problema che deve essere risolto. 

L’immagine stereotipata della donna single

Lo stato di single di Bridget Jones sembra sinonimo di vita sregolata, fatta di alcol e fumo.  È come se l’essere single fosse un pericolo per la salute. All’inizio del film, la madre di Bridget le dice con disinvoltura che non troverà mai un fidanzato se continuerà a sembrare “uscita da Auschwitz”. Poi, c’è la scena in cui Bridget va ad una cena a cui partecipano solo coppie sposate, e un partecipante odiosamente compiaciuto la chiama “vecchia ragazza” e dice che “dovrebbe sbrigarsi a farsi spupazzare” perché il tempo sta finendo.  Naturalmente, come sappiamo, alla fine Bridget non “fallisce”, trovando il suo uomo ideale.

Normalizzare una donna single

Le nostre “eroine”, oggi, non sono più come Bridget. Oggi, rispetto al 2001, esistono movimenti di sensibilizzazione come #MeToo, o sulla body positivity, che ci fanno superare lo stereotipo rappresentato nel film. Basti pensare a celebrità che sostengono l’empowerment femminile come Lizzo (nella sua hit del 2017 “Truth Hurts”, canta che “non si preoccupa di un anello al dito”), o Emma Watson, che si è notoriamente descritta come “self-partnered” nel 2019. Ci sono anche un numero crescente di libri che esplorano l’argomento, tra cui (purtroppo solo in Inglese) “The Unexpected Joy of Being Single” di Catherine Gray, in cui l’autrice spiega come si è presa un anno di pausa dagli appuntamenti alla ricerca della soddisfazione da single.

Non sarebbe meraviglioso se l’essere single, per le donne, fosse profondamente normalizzato nella cultura popolare? Perché anche se Bridget Jones tocca chiaramente il tasto della “paura di rimanere sole”, avremmo tutte bisogno di una nuova donna “modello” slegata dalle relazioni romantiche. 

 

 

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