Se è vero che da un’infanzia infelice non si guarisce mai, pochi hanno saputo raccontare quell’infelicità come Irène Némirovsky nel romanzo autobiografico “Il vino della solitudine“. Ma paradossalmente è nel bel mezzo dell’infelicità che possiamo capire cosa ci renda davvero felici. A volta, basta poco, meno di quanto pensiamo: l’odore del mare, la sabbia sotto le dita e il vento.
Il vino della solitudine
Irène Némirovsky
Nata in Russia, di religione ebraica convertitasi poi al cattolicesimo nel 1939, ha vissuto e lavorato in Francia. Arrestata dai nazisti, in quanto ebrea, Irène Némirovsky fu deportata nel luglio del 1942 ad Auschwitz, dove morì un mese più tardi di tifo. Il marito, Michel Epstein, si attivò per cercare di salvare la moglie inviando un telegramma il 13 luglio 1942 a Robert Esménard ed a André Sabatier presso Albin Michel, proprietario della casa editrice Grasset. “Irène partita oggi all’improvviso. Destinazione Pithiviers (Loiret) . Spero che voi possiate intervenire urgenza stop Cerco invano telefonare”. Anche il marito morì nel novembre dello stesso anno ad Auschwitz.