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L’incipit di Novecento, il bellissimo romanzo di Baricco

"Novecento" di Alessandro Baricco è uno di quei libri che difficilmente si dimenticano. Ecco l'incipit di questo bellissimo monologo

Poche pagine, una storia profonda e indimenticabile, il mare, una nave, la paura dell’ignoto e un pianoforte.  Novecento di Alessandro Baricco è quel libro che, simile a un testo teatrale, ci regala momenti di grande emozione e di suggestioni.

4 ragioni per cui vedere "La leggenda del pianista sull'oceano"

4 ragioni per cui vedere “La leggenda del pianista sull’oceano”

Tornatore nel 1998 ha realizzato uno dei film più belli di sempre: “La leggenda del pianista sull’oceano”. Ecco perché piace così tanto

La trama

Novecento narra la storia del Virginian, il piroscafo che negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America. Miliardari, emigranti e gente qualsiasi vi sale a bordo. Si racconta che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Ma anche la sua storia era affascinava: si dice che fosse nato su quella nave e che da lì non fosse mai sceso. Ma il motivo è del tutto ignoto.

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“La leggenda del pianista sull’oceano” e la musica di Morricone

“La leggenda del pianista sull’oceano”, film diretto nel 1998 da Giuseppe Tornatore, tratto dal monologo “Novecento” di Alessandro Baricco, è ritenuto un capolavoro anche grazie alla colonna sonora realizzata da Ennio Morricone.

L’incipit di Novecento

L’incipit di Novecento è evocativo e molto suggestivo: descrive quella persona che per prima dalla nave vede l’America e noi ve lo proponiamo.

“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l’America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l’aveva fatta lui, l’America. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato, muratore, brava persona… prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi… gli ha preso un po’ la mano, ha fatto l’America…

Quello che per primo vede l’America. Su ogni nave ce n’è uno. E non bisogna pensare che siano, cose che succedono per caso, no… e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c’aveva già quell’istante stampato nella vita. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l’America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido (gridando) , AMERICA, c’era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l’America. Lì, ad aspettare.”

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