I versi di Dante Alighieri su santo Stefano, primo martire cristiano

26 Dicembre 2024

Leggiamo assieme gli struggenti versi di Dante Alighieri che immortalano santo Stefano martirizzato e, tuttavia, aperto al perdono.

I versi di Dante Alighieri su santo Stefano, primo martire cristiano

Nel XV canto del Purgatorio della Divina Commedia, Dante Alighieri offre un’immagine straordinariamente toccante del martirio di santo Stefano, il primo martire cristiano. I versi descrivono con precisione emotiva e spirituale la scena del suo martirio, dove l’ira umana e il perdono divino si intrecciano in un racconto di profonda fede. Questa scena serve come un ponte tra il concetto del peccato – che nel Purgatorio viene redento – e quello del perdono, presentato come la via per la purificazione e la santificazione.

Poi vidi genti accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: “Martira, martira!”.

E lui vedea chinarsi, per la morte
che l’aggravava già, inver’ la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte,

orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra.

Un giovane ucciso dall’ira altrui: Dante Alighieri rende immortale santo Stefano

“Poi vidi genti accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: ‘Martira, martira!’”

Dante presenta Santo Stefano come il “giovinetto” ucciso dall’ira del popolo. La scelta del termine “giovinetto” accentua l’innocenza e la purezza della sua figura, rendendolo un simbolo della giustizia divina opposta all’ingiustizia umana. La folla, descritta come “accese in foco d’ira”, rappresenta l’energia distruttiva e incontrollata che scaturisce dall’odio e dall’incomprensione.

Nel canto, il martirio non è solo un evento tragico ma anche uno specchio del conflitto eterno tra l’amore e l’odio, tra la fede e l’intolleranza. Le urla della folla – “Martira, martira!” – enfatizzano una società che celebra, inconsapevolmente, la propria colpa attraverso l’inflizione della violenza su un innocente.

Il sacrificio di Stefano: una porta verso il cielo

“E lui vedea chinarsi, per la morte
che l’aggravava già, inver’ la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte,”

L’immagine di Stefano che si china sotto il peso delle pietre ma mantiene gli occhi rivolti al cielo è di straordinaria bellezza spirituale. Il movimento fisico verso la terra rappresenta la mortalità dell’uomo, mentre lo sguardo al cielo simboleggia l’apertura dell’anima verso l’eternità e Dio. Qui, Dante collega direttamente la sofferenza terrena alla redenzione ultraterrena: nonostante le atrocità subite, la fede rimane inalterata, conferendo al sacrificio un significato eterno.

In questo atto di perseveranza e resistenza spirituale, Stefano diventa un esempio di come affrontare le tribolazioni con una fede incrollabile. È un richiamo per i lettori alla capacità dell’uomo di trascendere il dolore attraverso il potere del divino.

Il perdono come disarmo del male

“orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra.”

Uno degli aspetti più commoventi del martirio di Santo Stefano è il suo atto di preghiera per i persecutori. Dante sottolinea come Stefano non risponda alla violenza con l’odio, ma con una richiesta di perdono rivolta a Dio. Questo gesto riecheggia il sacrificio di Cristo sulla croce, stabilendo una connessione tra il primo martire cristiano e il Salvatore.

La frase “con quello aspetto che pietà diserra” descrive la compassione di Stefano come un’apertura, una chiave che sblocca il cuore umano. La pietà qui non è semplice commiserazione, ma un gesto attivo di amore che rompe la catena dell’odio. Dante propone il perdono come la più alta virtù cristiana, capace di convertire il peccato in redenzione.

Il Martirio nel contesto del Purgatorio

Questa visione del martirio di Santo Stefano compare nella cornice della seconda balza del Purgatorio, dedicata agli iracondi, coloro che in vita hanno lasciato che l’ira governasse il loro animo. La rappresentazione di Stefano e della sua grazia perdonatrice è un esempio opposto ai peccati degli iracondi, un antidoto alla furia distruttiva che permea questa cornice.

In modo allegorico, Dante invita i penitenti e i lettori a riflettere sulla possibilità del cambiamento e del superamento dell’ira. Stefano, con il suo atto di perdono, diventa il simbolo della sublimazione della sofferenza in virtù, dell’odio in amore.

I versi dedicati a Santo Stefano rimangono incredibilmente rilevanti. In un mondo ancora oggi segnato da conflitti, intolleranza e divisioni, l’esempio di Stefano rappresenta un richiamo alla pace e alla riconciliazione. Il suo perdono, come atto di resistenza spirituale, dimostra che anche di fronte alle peggiori ingiustizie, l’amore e la compassione possono prevalere.

Questo richiamo alla giustizia divina e al perdono non è solo un messaggio teologico, ma anche una lezione etica che Dante vuole trasmettere: non esiste redenzione senza il disarmo dell’odio. Come Stefano, ognuno è chiamato ad affrontare le proprie battaglie personali con un cuore aperto al perdono e agli altri, rifiutando di essere dominato dal ciclo del rancore.

Il martirio di Santo Stefano, descritto con maestria poetica da Dante, supera i confini temporali e culturali, invitandoci a riflettere sulle sfide eterne dell’umanità: l’odio, il perdono e la fede. I suoi occhi rivolti al cielo, anche nella sofferenza più estrema, ci ricordano che è possibile trovare la salvezza e la pace interiore persino nelle situazioni più dolorose. È un messaggio di speranza, un invito alla trascendenza e un’esortazione a vivere con coraggio e amore verso il prossimo.

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