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La storia di Letizia Battaglia, quando la fotografia ti salva la vita

Per la prima volta la più grande fotografa dei nostri tempi si racconta a Libreriamo. Un'istantanea meravigliosa che ci restituisce la storia di Letizia Battaglia

Alla vita straordinaria di Letizia Battaglia la regista britannica Kim Longinotto si è ispirata per girare il docufilm “Shooting Mafia”, che sarà presentato durante il WeWorld Festival, l’evento annuale che si occupa dei diritti delle donne e dei bambini, il 23 e il 24 novembre al Teatro Litta di Milano, in anteprima nazionale. Una lunga intervista alla fotoreporter palermitana, intrecciata ai racconti delle persone che hanno non solo conosciuto Letizia, ma che l’hanno amata e osservata da vicino. Per la prima volta, Letizia Battaglia si racconta e lo fa con la sincerità che forse solo a 85 anni puoi avere rispetto a te stesso e alla vita.

 

Chi è Letizia Battaglia

Riconosciuta fra le più grandi fotografe del nostro tempo, a Letizia Battaglia non possiamo che riconoscere un merito fondamentale. Con la sua macchina fotografica è riuscita a squarciare quel velo di omertà e indifferenza che aveva a lungo protetto la mafia a Palermo. Ma di Palermo, la sua città natale, Letizia Battaglia non ha raccontato soltanto i morti vittime della mafia. Di Palermo ha immortalato la sua struggente bellezza, le sue donne audaci e coraggiose, le bambine, le creature che popolavano quel microcosmo di miseria e vitalità. Un mondo che attraverso l’obiettivo fotografico di Letizia Battaglia diventava poesia.

Letizia Battaglia

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L’intervista a Letizia Battaglia

Siamo al telefono con Letizia Battaglia. La sua voce è calma e profonda, sembra provenire da lontano, da un qualche regione sconosciuta del corpo. È la voce dei narratori, dei saggi che sanno restituire con semplicità il senso di una vita piena, vissuta nel segno del coraggio, ma anche della disciplina e del duro lavoro. Di chi ha compreso il suo posto nel mondo.

Ha sempre raccontato il mondo che la circondava attraverso la macchina fotografica, questa volta è lei a essere al centro della narrazione. Com’è stato ritrovarsi dall’altra parte dell’obiettivo?

Raccontarmi non mi viene poi difficile. Mi è già successo altre volte e, quando hai 85 anni, ti accorgi che le cose sono già avvenute. Però – a essere sincera – questo documentario mi imbarazza un po’. È un poco intimo, un poco troppo intimo. Doveva essere solo una lunga intervista, ma poi la regista ha seguito una strada diversa. Ha incontrato e intervistato persone che io conosco bene, persone che ho amato, e ha unito il tutto in una miscellanea che io definisco un po’ americana.

Quando per la prima volta ha visto il documentario, che effetto le ha fatto?

È stato un po’ scioccante. Ero a Park City, negli Stati Uniti, al Sundance Festival per la proiezione del documentario. Non me l’avevano mai fatto vedere, perchè temevano che io non volessi alcuni particolari. E, in effetti, sarebbe andata così. C’erano centinaia di persone e il cuore mi batteva a mille. Non sapevo a cosa sarei andata incontro. Quando lo vidi, mi trovai un po’ imbarazzata. C’era qualcosa di troppo intimo che io avrei voluto custodire per me, ma ormai è andata così e va bene.

Aveva 39 anni quando si è avvicinata alla fotografia. Che persona era prima di diventare fotografa? E in che modo prendere in mano la macchina fotografica ha cambiato la sua vita?

Prima di prendere in mano la macchina fotografica ero una persona inquieta, che viveva di incertezze. Ero madre di tre figli e questa era l’unica certezza che avessi. La macchina fotografia mi ha restituito me stessa, ha messo insieme i pezzi frammentati della persona che ero. Ero sbriciolata e non riuscivo a fare. Volevo fare, ma non ci riuscivo. Perché ero sposata e non mi sentivo libera. Quando partì da Palermo alla volta di Milano, avvenne la rivoluzione.

Che cosa cambiò nella sua vita?

Milano mi ha dato la possibilità di diventare una fotografa e le sarò sempre grata. Pagavano per avere le mie foto e quello fu per me un riconoscimento fondamentale. La mia vita cominciò a 39 anni, intendo la mia vita felice, la mia vita consapevole e responsabile, dove potevo intravedere un futuro. La macchina fotografica è un oggetto magico, ma credo che a liberarmi fu più il fatto di avere un lavoro. Lavorare significava essere, significava esistere. A lungo le donne sono state private di tale possibilità e lì mi accorsi che grazie al lavoro io mi stavo riappropriando di me stessa.

Quindi, la macchina fotografia è stata per lei uno strumento di emancipazione?

Con la macchina fotografica io esistevo. Mi sono sentita per la prima volta nella mia vita così libera, così bella, così generosa, così giusta. Ne avevo tanto bisogno e la macchina fotografica fu uno strumento magico. Come diceva Paul Valery in una sua poesia “In virtù della parola ricostruisco la mia vita”, potrei dire “in virtù della fotografia riscostruisco la mia vita”. Sembra banale, ma non lo è. Io con la macchina fotografica ho raccontato, ho denunciato, ma ho anche amato, sofferto. Ho vissuto.

Cosa direbbe alla ragazza che era prima di impugnare la macchina fotografie? E alle giovani donne che si sentono spaesate e in cerca di un’indentità, di un riconoscimento che gli permetta di esistere?

Le ragazze di oggi hanno tanto bisogno di avere speranze, di capire che ce la possono fare. Quando tengo dei workshop, vengono da me con gli occhi lucidi. Hanno bisogno di essere rassicurate, chiedono fiducia nel loro destino. Io rispondo loro: “Lavorate!”. Perché non c’è nient’altro che possa rendere felici. Il lavoro, ma anche la disciplina, il rispetto, il coraggio di osare. Osare nella giustizia, credendo in quello che si fa senza sotterfugi, e soprattutto senza vanità, che è la cosa peggiore in cui si possa incappare.

Lei si considera femminista, Letizia?

Io sono prima una donna, una persona. Amo le donne, le ho predilette nel mio lavoro e forse nella mia vita. Nei miei libri, ad esempio, le figure positive sono femmine, non maschi. Il femminismo è un fenomento storico e importante e anche io l’ho attraversato  con azioni e manifestazioni. Ma preferisco definirmi prima come donna, che come femminista.

Qual è la magia della fotografia?

Con la macchina fotografica ho avuto la possibilità di essere felice, ma non solo per la macchina fotografica, quanto per quello che mi faceva essere. Mi sono sciolta, come se mi fossi levata i lacci che avevo intorno e mi tenevano stretta. Lo dico sempre ai ragazzi che vengono a miei workshop: “Con la macchina fotografica siete padroni di voi stessi”. Quando premi il dito e fai clic, avviene qualcosa di meraviglioso. Il mondo che stai fotografando e il tuo più intimo si mescolano irrimediabilmente. Con un solo clic hai unito il mondo e te stesso. 

 

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