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Paola Fiorini, ”In Italia mancano luoghi istituzionali dove imparare e discutere dell’arte fotografica”

 L’artista racconta la sua tecnica fotografica e commenta la situazione artistica italiana

MILANO – Catturare il soggetto protagonista dell’immagine insieme a tutte le suggestioni l’atmosfera e i sentimenti che da esso scaturiscono, non limitandosi solo a descrivere. E’ questo l’approccio fotografico da parte di Paola Fiorini. L’artista, formatasi attraverso corsi di tecnica mai terminati, scambi di idee e visioni, workshop, predilige l’uso di fotocamere a pellicola, materia dove si sviluppa gran parte della sua ricerca e sperimentazione stilistica. Ha un’ossessione per le piccole storie, quelle sussurrate e scoperte per caso. Nel 2009 e nel 2011 si classifica prima assoluta al “Portfolio Italia – Gran Premio Epson – Kiwanis” rispettivamente con i lavori  Elisa fashion district e Love Camping: apologia dello stanziale. Cofondatrice dal 2011 è cofondatrice del collettivo synapsee, le sue immagini appaiono su  “Il Fotografo”, “Gente di Fotografia”, “seedmagazine” “FotoIT“.

Come nasce la sua passione per la fotografia?
Non c’è in realtà un momento preciso dove ho iniziato a fotografare, mi ricordo che da bambina  ero attratta più dalle figure che dalle parole, è stata una naturale evoluzione passare da pennelli e lapis al mezzo fotografico: uno strumento che rimane solo un mezzo e non il fine per riuscire a ritagliare piccoli frammenti di vita ed in modo più rapido. La fotografia mi ha permesso di dare  forma alle mie fantasie, di ricercarle e trovarle nelle piccole realtà che mi circondano e con cui voglio confrontarmi.

 

Come è cambiato negli anni il suo approccio alla fotografia?
Sono autodidatta da sempre,  la tecnica l’ho imparata da una collaborazione durata diversi anni con uno studio fotografico di Verona, se in quegli anni l’aspetto tecnico aveva un’importanza rilevante oggi non più, direi che è vero l’opposto. Oggi la mia priorità non è solo ritrarre il soggetto protagonista dell’immagine ma anche tutte le suggestioni l’atmosfera e i sentimenti che da esso scaturiscono, le mie fotografie non devono solo descrivere ma suggerire a bassa voce.

Cosa ha la fotografia di unico rispetto ad altre arti figurative?
E’ immediata (se pensi all’atto al momento del click) ma ha anche un tempo di attesa dell’attimo che nel mio caso è spesso molto dilatato e può durare mesi. Sono due concetti che sembrano in antitesi ma in realtà la giusta combinazione tra questi ingredienti credo riassuma il mio modo di fare fotografia.

 

Secondo lei l’arte della fotografia è abbastanza valorizzata in Italia?
No non credo lo sia, in Italia ci sono realtà diverse che se ne occupano (editori, fondazioni, gallerie, università) ma spesso sembrano parlare lingue diverse. Se la fotografia è un alfabeto del contemporaneo, in Italia mancano i luoghi istituzionali per imparare a decifrarlo e ricomporlo e un luogo comune dove discuterne. Detto questo penso che in Italia ci siano dei bravissimi artisti che continuano a fare fotografie spinti da una propria urgenza interiore con o senza supporto delle suddette realtà.

 

A quali sue mostre è più affezionata?
Citerei un riconoscimento e una mostra; lo scorso anno ho vinto il “Portfolio Italia – Gran Premio Epson” con un lavoro dal titolo “Love Camping-apologia dello stanziale” svolto in collaborazione con Beatrice Mancini. Proprio perché svolto a quattro mani con un’amica a cui sono particolarmente legata rappresentava per me una sfida e un motivo di crescita. Ci siamo trovate di fronte al medesimo potenziale soggetto che con generosità siamo riuscite a condividere. Il linguaggio a dittico ha permesso una nuova forma di  relazione tra i due scatti che si omaggiano ma restano integri nella specificità dei singoli approcci. La mostra che ricordo con maggior affetto è senz’altro l’ultima al RosignanoFotoFestival dove il collettivo Synapsee, di cui sono cofondatrice, ha esposto il progetto “Terra Nostra”.

 

22 agosto 2012

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