Sei qui: Home » Fotografia » Diane Arbus, scatti proibiti ed empatici che raccontano la diversità

Diane Arbus, scatti proibiti ed empatici che raccontano la diversità

La “fotografa dei mostri” veniva chiamata dai contemporanei, per le sue scelte artistiche che, con misterioso realismo, rendevano protagonisti dei suoi scatti individui emarginati, soli e diversi. Uno stil illusoriamente semplice e classico quello di Diane Arbus, che ...

“Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più essa racconta, meno è possibile conoscere.”

 

MILANO – La “fotografa dei mostri” veniva chiamata dai contemporanei, per le sue scelte artistiche che, con misterioso realismo, rendevano protagonisti dei suoi scatti individui emarginati, soli e diversi. Uno stil illusoriamente semplice e classico quello di Diane Arbus, che conferisce un’incongruente solennità ai soggetti particolari che per lei posano guardando al suo obiettivo senza inibizioni, siano essi ermafroditi, nudisti, gemelli, strane coppie borghesi, insoliti bambini o giovani manifestanti pro o contro la guerra del Vietnam. La Arbus è una “cacciatrice di immagini”(che ha pure occasione di frequentare i pop artist) che sceglie, con l’evidenza fotografica di orrori, di schierarsi scopertamente ed attivamente contro ogni moralismo. Ciò le varrà un costante disprezzo da parte dei benpensanti, che sputeranno letteralmente sulle sue opere esposte per la prima volta nel ‘65 al Museum of Modern Art di New York; ma anche un continuo appoggio ed incoraggiamento da parte dei suoi amici fotografi ed intellettuali.

 

GLI ESORDI – Diane Arbus, nome di battesimo Diane Nemerov, nasce il 14 marzo 1923 a New York in una famiglia di origini ebree proprietaria dei grandi magazzini Russek’s. A soli 14 anni conosce il futuro marito Allan Arbus, di cui prenderà il cognome. Pur di sposarlo, a 18 anni, Diane si rifiuterà di andare in università. Insieme a lui inizia il lavoro di fotografa e il primo progetto che realizzano insieme è un servizio fotografico pubblicitario per la catena dei magazzini Russek’s. Durante la Seconda guerra mondiale il marito si arruola come fotografo nell’esercito e al suo ritorno i due decidono di aprire insieme uno studio dal nome “Diane & Allan Arbus”, anche se il ruolo di lei sembra confinato a quello di assistente. I due pubblicano su Glamour un servizio sui pullover nel 1947, e in seguito lavoreranno anche per riviste come Vogue e Seventeen.

 
GLI STUDI CON LISETTE MODEL E LA SVOLTA – Nel 1947 Diane Arbus studia fotografia con Berenice Abbotte e nel 1955 con Alexey Brodovitch, art director di Harper’s Bazaar. La vera svolta nel suo lavoro si ha quando conosce Lisette Model, con cui studia nel 1956 e nel 1957. A quei tempi, per la precisione al 1956, risale la separazione professionale dal marito: folgorata dall’insegnamento di Lisette Model, Diane trova il coraggio di superare la sua timidezza e iniziare a fotografare i soggetti che le interessano veramente. Tra 1957 e il 1960 frequenta un baraccone situato tra la 42sima e Broadway, l’Hubert’s Museum, dove si esibiscono figure bizzarre che Diane Arbus fotografa diverse volte nel corso di quel periodo. Inizia così quel percorso che la porterà a essere criticata come la “fotografa dei mostri”. In quegli anni anche il suo matrimonio va in crisi: Diane e Allan si separano nel 1959 e divorzieranno dieci anni dopo.

 
LA “FOTOGRAFA DI MOSTRI” – Dopo la separazione dal marito conosce Emile De Antonio, distributore cinematografico, che le fa vedere il film cult di Tod Browning, “Freaks”, del 1932. Sicuramente per Diane Arbus è di grande ispirazione: la fotografa sente il film vicino alla sua estetica e lo rivede più volte nel corso della sua vita. Negli anni successivi approfondisce il lavoro iniziato all’Hubert’s Museum, fotografando soggetti come il gigante cieco “Moondog” o il messicano affetto da nanismo Lauro Morales, che si esibisce con il nome d’arte di Cha Cha Cha. Per tutti questi scatti utilizza una Nikon 35 mm. Gli stessi soggetti ritornano più volte nelle sue fotografie, che non vogliono esprimere un giudizio filosofico ma cogliere le sfumature emozionali del mondo, ritrarre la psicologia dei personaggi immortalandoli nella loro esistenza privata. Con loro Diane Arbus instaura sempre un legame personale, intimo, di amicizia. Nel 1960 appare “The Vertical Journey” – un servizio di sei fotografie il cui titolo è tratto da “Alice nel Paese delle Meraviglie” – su Esquire. Nel 1961 pubblica “The full circle” su Harpar’s Bazaar, grazie alla mediazione dell’amico e forse amante di Marvin Israel, art director della rivista, nonostante il parere contrario della caporedattrice Nancy White. Le fotografie sono scioccanti per il pubblico dell’epoca, e in effetti la rivista perde alcuni abbonati. Nel 963 Diane Arbus ottiene una borsa di studio dal Guggenheim e il MOMA espone le sue fotografie prima nella mostra “Acquisizioni recenti”, nel 1965, e poi ancora nel 1967 nella mostra “New Documents”, dove 30 suoi scatti sono esposti insieme ai lavori di Gerry Winograd e Lee Friedlander. Spesso le sue fotografie dovevano essere ripulite dagli sputi dei visitatori.

 
LA SERIE “UNTITLED” – Nel 1970, dopo aver provato la Pentax 8×10 di un amico, ne resta entusiasta e decide di acquistarne una. Per potersela permettere tiene un corso di fotografia cui partecipano 28 allievi. Con questa realizza una serie di fotografie di disabili in un istituto, anche in questo caso tornando più volte nel posto e ritraendo a più riprese i soggetti. Questi scatti sono noti come “Untitled”. Ammalata di depressione, Diane Arbus perde negli ultimi tempi interesse per la fotografia, sentendosi anzi oppressa dal successo. Si suicida il 26 luglio 1971, ingoiando barbiturici e tagliandosi le vene.

 
GLI SCATTI PIÙ CELEBRI – Tra i suoi scatti più famosi, si ricorda senz’altro “Child with Toy Hand Grenade in Central Park, New York”, scattata nel 1932, che ritrae un ragazzino estremamente magro con una finta granata nella mano destra e la mano sinistra contratta ad artiglio. Prima di scattare la fotografa aveva iniziato a girargli attorno dicendo che doveva trovare la giusta inquadratura e spazientendo così il bambino. L’espressione del soggetto, che sembrerebbe indicare un’intenzione violenta, era in realtà un invito rivolto a Diane Arbus di sbrigarsi. C’è poi “Identical Twins”, del 1967, che ritrae due gemelle identiche, una imbronciata e l’altar sorridente, scatto in cui si esprime la bipolarità della fotografa. Altra fotografia celeberrima è “Jewish Giant at Home with His Parents in The Bronx, NY”, scattata nel 1970, in cui si ritrae il gigante ebreo Eddie Carmel nel salotto di casa sua assieme ai genitori.

 

26 luglio 2015

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione Riservata