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Con la mostra ”Sahara”, la Svizzera riscopre Peter Häberlin, il fotografo del deserto

La vita schiva e misteriosa di un grande fotografo svizzero, morto troppo giovane, raccontata attraverso la sua opera e le tracce dei suoi viaggi nel Sahara, deserto, mito e topos dell'anima. A cento anni dalla nascita, la Svizzera riscopre Peter Werner Häberlin...
Il Museo delle Culture di Lugano dedica al grande fotografo svizzero Peter Häberlin la mostra “Sahara”, fino al 10 marzo 2013 in mostra nelle sale di Villa Ciani

MILANO – La vita schiva e misteriosa di un grande fotografo svizzero, morto troppo giovane, raccontata attraverso la sua opera e le tracce dei suoi viaggi nel Sahara, deserto, mito e topos dell’anima. A cento anni dalla nascita, la Svizzera riscopre Peter Werner Häberlin. Dopo due anni di intenso lavoro, condotto dal Museo delle Culture di Lugano, con la preziosa collaborazione della Fondazione Svizzera per la Fotografia di Winterthur, nasce “Sahara”, una mostra per riportare alla luce le tracce e la vita di Häberlin, attraverso 128 fotografie finora inedite, da lui realizzate durante i suoi viaggi nel deserto. L’esposizione – inserita nel percorso “Esovisioni”, il ciclo del Museo delle Culture di Lugano nato con l’obiettivo di indagare il rapporto tra la fotografia e l’esotismo, e delineare una sorta di vera e propria mappa dei modi in cui l’Occidente ha guardato (e giudicato) l’Altro – è allestita  nelle sale di Villa Ciani (Parco Civico) di Lugano, e sarà aperta al pubblico fino al 10 marzo 2013.

UNA VITA PER VIAGGIARE – La biografia di Häberlin è a tutt’oggi in parte misteriosa. Nato nel 1912, il deserto fece da subito irruzione nella sua vita all’età di poco più di vent’anni, quando, dopo aver concluso di malavoglia una formazione di pasticcere, partì da solo, a piedi, fino in Sicilia, dove si imbarcò per il Nord Africa. Studiò arte e fotografia prima ad Amburgo, alla fine del 1938, per poi trasferirsi a Zurigo, in seguito all’imperversare del conflitto. La sua fu una carriera fuori dai sentieri battuti della fotografia di reportage del suo tempo: egli infatti sembra usare la fotografia per accompagnare il suo lento muoversi nel mondo, rispettando i propri tempi più che quelli dei giornali e del mercato. Dopo la guerra e la chiusura delle frontiere, l’occasione di tornare nel Sahara si presentò nel 1949, e poi ancora nel 1950, nel 1951 e nel 1952. Häberlin viaggiava fotografando, non per fotografare, attraverso le antiche vie carovaniere che da Algeri attraversavano il Sahara per terminare nel Camerun settentrionale. Dopo quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio, firmò nel gennaio del 1953 il contratto con le edizioni Manesse di Zurigo per il suo primo libro, “Yallah”. Ma già il suo spirito era rivolto altrove, verso il Messico, dove si apprestava a partire.

DESERTO D’AFRICA – Nella sua passione per il continente africano si può scorgere una risposta agli anni drammatici della guerra, una tensione verso un luogo ancora incontaminato e non sconvolto profondamente dal conflitto. Un continente in cui, sottotraccia, si intravede la possibilità di un’altra società, ideale e senza tempo, dove l’uomo vive ancora in un rapporto autentico con la natura. Le sue immagini ritraggono le popolazioni africane in una sorta di dimensione atemporale in cui l’intento documentario e narrativo lascia quasi del tutto il posto a una forma di contemplazione. Il soggetto etnografico è proiettato direttamente in un ambito filosofico e simbolico, nonché in una ricerca del bello in evidente dialogo interiore con la ricerca spirituale del fotografo. Così commenta Peter Pfrunder, direttore della Fondazione Svizzera per la fotografia di Winterthur: “Nelle immagini di Häberlin trovano il loro equilibrio il desiderio di documentare e quello estetico, la ricerca della conoscenza e la volontà di darle una forma”. E conclude: “Da questo punto di vista l’opera di Häberlin è un’espressione tipica del suo tempo, esemplare per un’intera generazione alla ricerca di nuove esperienze, di una diversa concezione della vita e di valori alternativi, mossa dalla consapevolezza che l’avidità occidentale e l’utilizzo sconsiderato delle risorse naturali avrebbero condotto l’umanità sempre più profondamente verso la rovina”.

YALLAH – Ma il 9 luglio del 1953, nel suo appartamento di Zurigo, Häberlin fu vittima di in un tragico incidente con un’arma da fuoco e tutti i suoi progetti rimasero incompiuti. Tra essi anche il volume fotografico “Yallah”, per cui aveva partecipato solo alla scelta delle 83 immagini, e la cui pubblicazione fu seguita dal padre, intenzionato a rendere omaggio al talento del figlio scomparso. Il librò uscì in Europa nel 1956 e negli Stati Uniti nel 1957, con una prefazione dello scrittore americano Paul Bowles, nella cui opera più celebre, “Il tè nel deserto”, adoperato da Bernardo Bertolucci come sceneggiatura per l’omonimo film, le immagini di “Yallah” sembrano far capolino a ogni descrizione d’ambiente. Uno dei settimanali americani più letti, The New Yorker, scrisse che il reportage era l’opera “di uno dei grandi fotografi del nostro tempo, capace di mostrare, come solo l’arte sa fare, ciò che altrimenti resterebbe celato”.

12 novembre 2012

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