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Biblioteche italiane, in che condizioni sono oggi?

Le biblioteche italiane sono un tesoro unico, ma in che condizioni sono oggi? Ce ne parla Ennio Michele Tarantola, un fu bibliotecario che nelle biblioteche c'ha vissuto

MILANO – Qualche giorno fa, uno dei nostri lettori ci ha scritto per commentare uno dei nostri articoli dedicati alla professione del bibliotecario: https://libreriamo.it/libri/ecco-perche-quello-del-bibliotecario-e-il-lavoro-dei-sogni-non-solo-per-i-booklover-2/: Ennio Michele Tarantola. Il signor Tarantola ha scritto un libro dal titolo “Le disavventure di un bibliotecario” e ci ha spiegato a grandi linee di aver portato avanti la professione di bibliotecario per un bel po’ di anni e che sarebbe stato opportuno, a suo parere, poter raccontare anche la sua personale visione un po’ meno idilliaca di quella che molte riviste prospettano. Di seguito, ne è nata un’interessante conversazione..

Ci parli un po’ di lei, della sua vita, dei suoi studi…

Laureato in Scienze politiche presso la Sapienza (15 anni per conseguirla, lavorando già come bibliotecario, a causa di diversi lavori svolti dopo il diploma di Maturità scientifica: microscopista, operaio in Germania, cameriere a Londra, tecnico presso un centro elettronico. Sommelier).

Dai toni che usa nel suo libro mi pare quasi che provasse – e provi – una sorta di ostilità nei confronti dell’università per cui lavorava?

Contrariamente a quanto si pensa, il bibliotecario è, a mio modo di vedere, per definizione un frustrato perché si trova per le mani decine di libri interessanti e, se lavora sodo, non ha il tempo per leggerne neppure uno. Nelle biblioteche delle università, spesso incontra difficoltà enormi a causa del conflitto di competenze con i docenti. Personalmente, ho speso metà delle mie energie per poter svolgere il mio lavoro in modo professionale. Questo punto è il cuore del mio libro e necessità di un ampio approfondimento, necessario credo per il vostro articolo.

Ho letto che lavorava già quando decise di fare il concorso per diventare un bibliotecario; il fatto di non aver studiato biblioteconomia, a posteriori, è qualcosa che reputa l’abbia svantaggiata?

Io sono stato tra i vincitori del primo concorso nazionale nel 1972 come Aiuto-bibliotecario nelle università, ruolo che prima non esisteva. La maggior parte dei colleghi era più giovane di me e veniva da studi di biblioteconomia. Io, che ero chiaramente svantaggiato ma che per vincerlo ho dovuto fare ottime prove di concorso, ho dovuto inventare poco a poco la mia professionalità. Nello stesso tempo, il fatto di avere già svolto altri lavori mi ha dato maggiore sicurezza e autonomia nei rapporti con il mondo universitario.

Rimpiange la sua scelta di cambiare lavoro per seguire il desiderio dei suoi genitori?

Non ho mai rimpianto il lavoro di bibliotecario che ho scelto consapevolmente, lasciando per esso un altro lavoro sicuro. I mie genitori, insegnanti, ne sono stati contenti.

Secondo lei, come potrebbe essere risollevata la situazione delle biblioteche universitarie?

Questo punto necessita di un lungo discorso sulla realtà attuale delle biblioteche delle università, sui Sistemi bibliotecari di Ateneo e sulla professione di bibliotecario, attuale e in prospettiva. Non è possibile affrontarlo in questa sede. (sul mio libro è riportato un “Circuito del lavoro nelle biblioteche”, un grafico che illustra chiaramente la complessità del lavoro svolto in biblioteca che i bibliotecari in divenire dovrebbero conoscere prima di affrontare “allegramente” questa professione.)

Consiglierebbe ai giovani di intraprendere questa strada? Se sì, quale suggerimento vorrebbe dargli?

La professione del bibliotecario può essere meravigliosa, a patto di avere consapevolezza di che cosa significhi e dell’ambiente in cui si va ad operare. C’è però in giro una visione troppo ottimistica e favolistica. Anche questo punto merita un approfondimento.

Che consiglio si sentirebbe di dare oggi come oggi ai giovani studenti che si apprestano a frequentare un’università e che magari hanno l’ambizione di preservare la cultura?

Studiare e applicarsi, mettere passione in quello che si fa. Non si può ottenere nulla senza fatica e passione che possono essere, esse stesse, il risultato più importante dei propri studi. Io ho imparato a non aspettarmi nessuna gratificazione dagli altri e a gratificarmi da solo quando ho sentito di avere fatto bene il mio lavoro.

Cosa ne pensa del sistema di digitalizzazione che è arrivato a “colpire” anche e soprattutto le case editrici? – d’altronde lei ha pubblicato più di un libro tramite questo sistema.

la digitalizzazione, o meglio l’Informazione in forma digitale, sono il cuore della trasformazione del lavoro di bibliotecario, dal tradizionale a quello attuale di mediatore bibliografico. Analogo problema è oggi davanti all’intero mondo dell’informazione. Dovrei poter parlare di come si lavora oggi nelle biblioteche scientifiche, piuttosto che in quelle umanistiche. ma non mi è adesso possibile. Ci sono comunque intere biblioteche sull’argomento e persone sicuramente molto più qualificate di me, in pensione da dieci anni, per parlarne con competenza.

 

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