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Antonio Ferrara, ”Scrivere libri per ragazzi è molto più difficile che scrivere per adulti, ma è una sfida affascinante”

Dare voce a chi non ha voce, far diventare protagonisti i diseredati e i fragili, che spesso sono anche bambini o ragazzi. Questa è la filosofia che accompagna la scrittura di Antonio Ferrara, autore e illustratore di numerosi libri per ragazzi, che grazie al libro ''Ero cattivo'' (Ed. San Paolo) si è aggiudicato il Premio Andersen 2012 nella categoria ''miglior libro oltre i 15 anni''...

L’autore di “Ero Cattivo” parla del suo libro e sottolinea l’importanza per la formazione dei più piccola della lettura e di una figura adulta che li guidi durante la crescita

 

MILANO – Dare voce a chi non ha voce, far diventare protagonisti i diseredati e i fragili, che spesso sono anche bambini o ragazzi. Questa è la filosofia che accompagna la scrittura di Antonio Ferrara, autore e illustratore di numerosi libri per ragazzi, che grazie al libro "Ero cattivo" (Ed. San Paolo) si è aggiudicato il Premio Andersen 2012 nella categoria “miglior libro oltre i 15 anni”. Ferrara ha compiuto studi artistici e ha lavorato per sette anni presso una comunità alloggio per minori, dove ha imparato a frequentare i sogni dei bambini e a non prendersi mai troppo sul serio.

 

Da cosa nasce l’idea di scrivere il libro "Ero Cattivo"?
Da due diversi e paralleli spunti. Il primo riguarda i miei trascorsi di educatore in una comunità alloggio per minori, dove ho lavorato per sette anni, e il secondo dall’aver letto la poesia di Danilo Dolci, pedagogista ed educatore, che compare in esergo nel libro e il cui ultimo verso recita "Ciascuno cresce solo se sognato".
 
Quale messaggio lancia Angelo, il protagonista del libro?
Che tutti gli adolescenti sono sempre in trasformazione e hanno sempre in pugno il proprio destino. E la relativa responsabilità che questo comporta. Ci vuole "soltanto" un adulto che li immagini non tanto per i problemi che magari nel presente portano, ma per le potenzialità che rappresentano.

 

Non è la prima volta che per un suo libro sceglie come protagonista un bambino, mi riferisco ad esempio a “Pane arabo e parole” che ha come protagonista Nadir, un bambino marocchino ed a “Controvento”, con protagonista la 16enne Zelinda. A cosa è dovuta questa sua scelta?
Al fatto che secondo me scrivere dal punto di vista di un ragazzo è per un adulto molto più difficile che scrivere da un punto di vista adulto, e questo detto così appare perfino ovvio, anche non si sottolinea mai abbastanza: scrivere per ragazzi è molto più difficile che scrivere per adulti, è una sfida affascinante, un esercizio di empatia senza pari. Un libro non dovrebbe mai lasciarci uguali a prima di averlo letto. Dovrebbe sempre essere, in qualche modo, un romanzo "di formazione".

 

Ci sono state più difficoltà o è stato abbastanza facile per lei trattare un temi così delicati come i disagi di un adolescente nei confronti del mondo che lo circonda?
Da anni la mia scommessa è dare voce a chi non ha voce, far diventare protagonisti i diseredati e i fragili, che spesso sono anche bambini o ragazzi. E questo con la scrittura si può fare. Come diceva Sartre, "La letteratura è quando chi perde vince".

 

In Italia si legge poco. Cosa si può fare per diffondere l’interesse per la lettura nei giovani?
Affascinarli con la scrittura e con gli incontri dal vivo con l’autore. Fare in modo che un libro contenga Speranza, Esperienza, Ricordo. I ragazzi si buttano nel fuoco, quando capiscono di avere davanti un adulto autentico, in grado di far sospettare loro che la scrittura sia un potente mezzo di espressione dei propri vissuti, un prezioso strumento per nominare e condividere le proprie emozioni. Un prolungamento del sentimento.

 

29 agosto 2012

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