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Anna Pavignano, ”Nel mio libro racconto ai giovani le difficoltà incontrate nel diventare grande”

La sceneggiatrice Anna Pavignano torna a prendere in mano carta e penna, e lo fa per raccontare se stessa ai più giovani. ''Una cosa che ti scoppia nel cuore'' porta in primo piano la storia personale dell'autrice, nel periodo della sua infanzia, partendo dalle sue paure...
Con una grandissima sensibilità la sceneggiatrice Anna Pavignano racconta le paure e le contraddizioni della propria infanzia, regalandoci un’importante riflessione sulla fatica del diventare grandi e sull’importanza pedagogica della lettura

MILANO – La sceneggiatrice Anna Pavignano torna a prendere in mano carta e penna, e lo fa per raccontare se stessa ai più giovani. “Una cosa che ti scoppia nel cuore” porta in primo piano la storia personale dell’autrice, nel periodo della sua infanzia, partendo dalle sue paure. La sua vita è stata segnata dalla dolorosa perdita del padre e quella altrettanto dolorosa del suo compagno, il comico napoletano Massimo Troisi, con cui ha intrecciato la sua storia professionale e sentimentale.

Da cosa nasce l’idea del libro “Una cosa che ti scoppia nel cuore”?
Il libro fa parte di una collana che si chiama “Gli anni in tasca”, titolo ispirato al film di François Truffaut. E’ una collana che racconta storie d’infanzia, in linea di massima di scrittori, ma non solo. In particolare il mio libro “Una cosa che ti scoppia nel cuore” racconta le mia infanzia attraverso le paure che l’hanno dominata; alcune paure solo mie, un po’ strane, legate alla mia storia personale e altre invece più comuni, in cui tutti, adulti e bambini, si possono identificare. Ma la chiave della paura è solo un modo per entrare nel racconto di ricordi più generali che riguardano la mia formazione, i miei sentimenti, la mia famiglia, il mio pensiero di bambina che percepisco come uguale a quello di ora, solo privo di strumenti per esprimersi. Non percepisco, nel ricordo, uno stacco tra l’infanzia e la vita adulta: è come se sentissi che c’ero già tutta, fin da piccola.

Quali sono le difficoltà che i ragazzi incontrano nel corso della propria crescita?
Dipende molto da dove crescono, in quale cultura, strato sociale, con quali persone e che tipo di affetti intorno. Se possiamo immaginare che esista un ragazzo medio di oggi di cui individuare le difficoltà, credo che quella principale sia proprio il crescere in sé. Il riuscire a percepirsi come responsabili di se stessi, del proprio mondo. E’ come se, sempre più a lungo nella vita, rimanesse nei ragazzi un retro pensiero, quasi inconsapevole – che ricordo bene di avere avuto – che in fondo ci sarà sempre qualcuno che ‘ci penserà’. A cosa? A te, alle cose della tua vita. A fare le cose noiose per te, a salvarti nelle difficoltà. La mia esperienza dolorosa è stata accorgermi, dall’oggi al domani, in seguito alla morte di mio padre, che c’ero solo io a pensare a me stessa. E non ero abituata. E’ stato un crescere da un giorno all’altro.

Qual è il segreto per non perdere, anche da adulti, lo spirito di bambino, ovvero la propria spontaneità?
Credo che la spontaneità si possa perdere con molta facilità anche da piccoli. Tutto il processo di educazione, seppur necessario, è perdita di spontaneità. E l’educazione comincia fin dalla nascita: tutti noi siamo stati addomesticati e addomestichiamo i nostri figli. Chi più chi meno. Con metodi diversi, in base a principi diversi. Che cosa rimane di spontaneo nell’adulto? La creatività, i momenti magici dell’amore, i gesti di amicizia, le risate, il pianto. Per non perderli bisogna da una parte non censurare questi aspetti, non impedirsi di viverli. Alcuni di questi come la creatività, la voglia di ridere, vanno stimolati. Altri aspetti, tipo il pianto, ci sarebbe da vedere se è proprio il caso di stimolarlo. Però anche il pianto serve e, per dirla alla Troisi e Benigni “Non ci resta che piangere!”.

E’ stata autrice insieme a Massimo Troisi di tutti i suoi film. Quanto è vivo il suo ricordo in lei e nella gente?
In me è vivissimo. Non è un ricordo, ma è qualcosa che c’è, un esserci quotidiano nella mia vita. Ricordarmi di lui, che è diverso dal ricordarlo, è così normale che a volte penso: “Mo’ gli telefon…” poi il pensiero si ferma e mi ricordo che le telecomunicazioni non sono ancora così potenti. Nella gente credo che ci sia un sentimento simile, come se Massimo non appartenesse alla storia, al passato, ma facesse parte dell’immaginario collettivo. Credo che sarebbe molto gratificato da questo.

Cosa penserebbe secondo lei Troisi se dovesse commentare, a modo suo, questo suo libro?
Non so che cosa avrebbe detto dopo averlo letto ma, considerando che era un po’ fifone e che nel libro si parla di paure tipo diavoli e fantasmi, prima di leggerlo mi avrebbe detto: “Anna, ma sì sicura ca poi nun me fa impressione? Nun ‘o tieni natu libro chiù allegro?”

Quanto è importante la lettura, soprattutto nei più giovani?
Leggere insegna tante cose: a pensare, a sognare, a parlare, a scrivere, a raccontare, a stare da soli senza sentirsi soli… Però non deve diventare un obbligo, un dovere. E nemmeno un vanto: non mi piacciono le persone troppo orgogliose del fatto che amano i libri. Leggere deve piacere e basta. E’ banale ma è vero che i giovani hanno molti stimoli più comodi, che non ti devi andare a cercare, che ti coinvolgono senza il piccolo sforzo di concentrazione che richiede la lettura. E ai giovani piace stare comodi, ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Forse anche agli adulti però. Non so.

12 settembre 2012

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