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Tito Faraci, ”Scrivere un romanzo è più complicato che realizzare un fumetto”

''Scrivere un romanzo è più complicato che realizzare un fumetto'. Queste alcune delle parole più significative di Tito Faraci, celebre fumettista da poco in libreria con la sua nuova sfida, il romanzo 'La vita in generale'...

 Il celebre fumettista lombardo ha deciso di misurarsi in un nuovo genere ed è arrivato da poco nelle librerie con il suo romanzo ‘La vita in generale’

MILANO – ”Scrivere un romanzo è più complicato che realizzare un fumetto’. Queste alcune delle parole più significative di Tito Faraci, celebre fumettista da poco in libreria con la sua nuova sfida, il romanzo ‘La vita in generale‘, che contiene l’audacia delle storie dei fumetti dentro un romanzo comico-sociale vorticoso e appassionante. Ecco la nostra intervista allo scrittore:

 

1 – Lei è un grande fumettista, ha realizzato un numero incredibile di storie. Da Topolino a Capitan America, da Lupo Alberto a Diabolik, da Dylan Dog a Tex. Quali sono le storie che gli è piaciuto di più raccontare?

Le storie che mi è piaciuto più raccontare nei miei fumetti sono senza dubbio quelle disneyane, in particolare quelle riguardanti Topolino e Gamba di legno. Se devo consigliare la lettura di una di una delle mie storie direi la storia di Topolino “Dalla parte sbagliata”, che ha avuto diverse ristampe. All’inizio mi sono proposto per raccontare storie per questi personaggi,  quindi ho realizzato storie che avevo voglia di scrivere, senza particolatre difficoltà. Scrivo solo quello che leggerei volentieri. Certo, non ti nego le difficoltà anche normali per alcune delle storie che ho realizzato per alcuni dei soggetti di cui ha parlato.

 

2 – Ha trovato delle differenze nel pensare e realizzare una storia per un romanzo invece che per un fumetto? Quale delle due scritture pensa sia più difficile?

Per la struttura stessa del fumetto, scrivere una storia per un romanzo è sicuramente diverso. Il fumetto è caratterizzato da una narrazione visiva che è certamente unica e che non è presente nel genere in cui mi sono cimentato. La componente visiva della narrazione lascia poco spazio alle interpretazioni. Mentre scrivevo il libro mi sono accorto che giocavo sul fatto che mancasse la componente visiva e questo mi permesso un po’ di non raccontare alcune cose per poi dirle dopo. Ma ho incontrato alcune difficoltà perchè non ero abituato a non poter mostrare ciò che raccontavo. Ho realizzato quindi che scrivere un romanzo è sicuramente più difficile che scrivere un fumetto.

 

3 – Qual è stato il motivo che l’ha spinta a cambiare genere e a tuffarsi nella scrittura di un romanzo? Perché proprio questa storia?

La storia che racconto è inventata, non c’è nessun velato riferimento a nessuno di realmente esistito. Volevo da un po’ di tempo misurarmi con un filone letterario che ha illustri precedenti, anche nella storia del teatro e del cinema. Quella della commedia dell’arte italiana con Totò per fare alcuni esempi, ma anche Dickens. Un filone letterario e artistico che mira a trattare con ironia e comicità la difficoltà di arrivare a fine mese. Di trattare in chiave comica un tema delicato come quello della povertà, della perdita di ogni cosa. Cercare di far ridere senza deridere, realizzando una storia che stimolasse una riflessione sull’assurdità della vita. Considero quindi il mio un doppio esordio. L’esordio in un genere nuovo e un esordio in una narrativa non di target, un romanzo che non posso dire che sia una vera e propria commedia, un romanzo che non rientra in un genere preciso.

 

4 – Ha scelto Milano come ambientazione del libro per qualche motivo in particolare?

L’ambientazione milanese è dovuta a due principali motivi. Prima di tutto è la mia città, ci sono molto affezionato ed era l’ambientazione perfetta per la storia che volevo raccontare. Una città che contiene ricchezza e povertà nei suoi due estremi. Perfetta per la storia di un personaggio che è partito dal basso e che ha raggiunto l’apice prima di crollare del tutto, fino ad andare a vivere per la strada. Ho voluto rappresentare questi due estremi della sua vita.

 

5 – Per quanto riguarda la scelta del titolo “La vita in generale”…

Il titolo del libro ha una storia curiosa. Solitamente il titolo di un romanzo di questo tipo si sceglie alla fine, ma in questo caso le cose sono andate diversamente. Avevo iniziato a scriverlo da poco, avevo forse finito il primo capitolo e avevo incontrato l’editore che mi aveva chiesto come stava andando il lavoro e poi mi ha chiesto come andava la vita in generale. Una domanda ampia, a cui è difficile dare un risposta unitaria perché raccoglie davvero tanti aspetti della vita. Da lì è nata una riflessione e sul fatto che potesse essere un bel titolo per un romanzo, anche se all’inizio non pensavo che potesse essere quello giusto proprio per questo. Invece poi è stato così.

 

6 – Al protagonista del suo romanzo, Mario Castelli, viene chiesto dalla co-protagonista Rita “come va la sua vita in generale”, se dovessi girare la domanda a lei, come risponderebbe?

Se dovessi rispondere oggi a questa domanda, direi che la mia vita in questo momento è particolare, una vita che non ho mai fatto. Ero abituato a scrivere fumetti, storie che dopo essere state poco tempo in edicola, sparivano per lasciare spazio a quelle successive. La pubblicazione del romanzo ha cambiato un po’ questo aspetto della mia vita. La storia che ho scritto rimane, continuo a fare interviste e a viaggiare per l’Italia, sono soddisfatto del mio ultimo lavoro.

 

7 –  Se dovesse dare consigliare dei libri ai nostri lettori, quali sceglierebbe?

Non sono un grande amante dei classici, preferisco i libri contemporanei che parlano dell’oggi, ma se devo pensare a una lettura da consigliare ai vostri lettori per questa estate sceglierei proprio un classico: “Tre uomini in barca” di Jerome. Un classico che molti non conoscono che parla di tre amici che in sono in viaggio insieme lungo il Tamigi durante le vacanze tra racconti e avventure comiche di ogni sorta sulle gioie e sui dolori della vita. Uomini che sono adulti, che hanno il dubbio di non essere considerati spesso come tali.

 

12 luglio 2015

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