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Simone Regazzoni, ”Chi non legge è un uomo morto”

Se un uomo con un libro incontra un uomo che non legge, l’uomo che non legge è un uomo morto. Parola di Simone Ragazzoni, l'autore oggi in uscita con il libro 'Stato di legittima difesa'. Filosofo e Professore di Estetica presso l'Università di Pavia, lo scrittore presenta oggi il suo ultimo lavoro a Torino e parla di tutto, dalla politica mondiale alle nuove tecnologie...

 Lo scrittore presenta il suo ultimo lavoro a Torino. E parla di tutto, dalla politica mondiale alle nuove tecnologie

 

TORINO – Se un uomo con un libro incontra un uomo che non legge, l’uomo che non legge è un uomo morto. Parola di Simone Ragazzoni, l’autore oggi in uscita con il libro ‘Stato di legittima difesa‘. Filosofo e Professore di Estetica presso l’Università di Pavia, lo scrittore presenta oggi il suo ultimo lavoro a Torino e parla di tutto, dalla politica mondiale alle nuove tecnologie.

 

Nel tuo ultimo libro, “Stato di legittima difesa”, hai deciso di parlare della situazione presente e in modo particolare degli Stati Uniti. Come è nata in te questa decisione?
Da tempo accompagno i saggi più accademici con testi che si confrontano, a distanza ravvicinata, con questioni, temi, oggetti della contemporaneità. L’ho fatto lavorando sulle serie tv, la pornografia o le nuove forme di eroismo. Nel caso degli USA e della guerra al terrorismo tutto nasce dal fatto che, da un lato, trovavo assolutamente insoddisfacenti i testi che i maggiori filosofi viventi (Agamben, Butler, Derrida, Zizek, ecc.) avevano dedicato al tema; dall’altro, mi appariva assolutamente necessario elaborare un pensiero  filosofico della guerra, una filosofia della guerra che si sforzasse di pensare la nuova forma di guerra in atto contro il terrorismo transnazionale e il suo rapporto con la democrazia. Per elaborare una nuova filosofia della guerra era però necessario fare quello che i filosofi contemporanei hanno evitato accuratamente di fare: rompere con la vecchia critica dell’ideologia della guerra, per misurarsi con la guerra in tutta la sua complessità, nei suoi aspetti giuridici, politici, militari, senza trascurare il legame tra guerra e immaginario hollywoodiano. Così per un po’ di anni ho messo da parte i filosofi per leggere testi di giuristi, militari, studiosi di strategia, di relazioni internazionali. Alla fine ne è nato un libro in cui elementi differenti sono inscritti in quello che definito un nuovo paradigma della democrazia americana contemporanea, lo stato di legittima difesa, all’interno del quale la democrazia si misura con la questione del proprio nemico assoluto da eliminare con una nuova forma di guerra. Certo alcuni dinosauri vetero-marxisti hanno reagito in modo colorito. Ma credo sia tempo di aiutarli a estinguersi.

Il caso siriano, di stretta attualità, come si inserisce nella tua teoria?
Il caso siriano mostra una volta di più un dato: sono gli USA oggi il solo paese in grado, con il loro potere di deterrenza, di garantire un minimo di equilibrio in un assetto internazionale sempre più instabile. Nel momento in cui Obama, di fronte all’uso di armi chimiche da parte di al-Assad, ha minacciato l’intervento militare, gran parte della comunità internazionale, Italia compresa, ha reagito invitando a non usare in modo unilaterale la forza e a rispettare le istituzioni internazionali, ecc. Di fatto se oggi siamo arrivati, forse, a una soluzione diplomatica, lo dobbiamo solo al fatto che gli USA hanno minacciato di ricorrere a una sanzione di tipo militare. Senza questa minaccia al-Assad oggi non riconoscerebbe nemmeno di possedere armi di distruzione di massa.

Dopo le figure positive dell’immaginario di “Sfortunato il paese che non ha eroi” pensare a Obama come a un “cattivo” fa un certo effetto…
Obama è stato dipinto come un “cattivo”, come “peggio di Bush” da quanti applicano vaghi criteri morali alla politica. Se guardiamo invece in un’ottica politica, e non morale, a come nel corso dei suoi mandati Obama ha condotto la guerra al terrorismo transnazionale di al-Qaeda, è chiaro che ci troviamo di fronte a un Presidente che ha avuto il coraggio di condurre questa guerra con tutta la decisione e la violenza necessaria a difendere i propri cittadini da nuovi attacchi. In questo senso si è comportato come un eroe politico, come un leder coraggioso in grado di prendere decisioni difficili e rivendicarle senza timore. Come quando si è presentato davanti a tutte le televisioni del mondo è ha rivendicato l’uccisione del nemico numero uno degli USA, Bin Laden, con la formula: “Giustizia è stata fatta”. Questo ha scandalizzato gli intellettuali di sinistra che sognavano una squadra di poliziotti che arrestasse Bin Laden leggendogli i suoi diritti. Ma è stato un grande atto politico. Bin Laden non era un criminale comune, era un nemico che ha dichiarato guerra agli USA, ha portato la guerra sul suolo americano ed era a capo di un’organizzazione terroristica transnazionale che in ogni modo ha cercato di dotarsi di un’arma nucleare per portare un attacco nucleare contro gli USA. Ben Laden è stato ucciso come un nemico in guerra da uno dei membri dei
Seal Team Six. Chi si strappa i capelli di fronte a questo fatto non ha ben chiaro in quale mondo viviamo.

Il riferimento che fai a Batman e nello specifico con la trilogia di Nolan (una delle più riuscite sull’argomento, secondo molti) è interessante. Puoi spiegarci meglio cosa rappresenta questo personaggio?
Nolan con la sua trilogia è riuscito a pensare a fondo il nuovo tipo di guerra in atto e il suo rapporto con la democrazia. Dicevo prima che i maggiori filosofi contemporanei non ci sono riusciti. In questo senso la trilogia di Nolan è di gran lunga più importante per pensare la war on terror dei libri di Badiou, Derrida, Butler ecc. Nolan ha messo al centro del suo Batman non la lotta contro il crimine, ma una nuova forma di guerra contro il terrorismo. E’ Nolan a evocare lo spettro del terrorismo fin dal primo capitolo della saga. Ed è Nolan a descrivere l’epilogo della saga come “a war film”. Nolan ha così pensato il passaggio che negli USA è avvenuto dopo l’11 settembre da una lotta al terrorismo come fenomeno criminale a una guerra al terrorismo come fenomeno bellico. In altri termini ha pensato il passaggio dal paradigma del law enforcement a quello della nuova guerra del terzo tipo. Il suo Batman così ha incarnato perfettamente la forza oscura, estrema, al di là della legge, cui la democrazia può fare ricorso nei casi di minaccia suprema. Non a caso Nolan ha costruito la figura di Batman da un lato su quella di un grande presidente eroico come Theodore Roosevelt e dall’altro sulla figura del soldato dei corpi speciali.

Hai già in cantiere altri progetti? Magari un libro sulla situazione italiana?
No, nulla sull’Italia. Il mio prossimo libro che uscirà nella primavera 2014 e il cui titolo è L’altro inizio sarà un romanzo di 400 pagine che ho quasi concluso. Un romanzo che amo definire un Blockbuster filosofico (genere: action-thriller) ambientato tra Stati Uniti, Europa, Cina, Africa e Antartide. La scommessa qui è tenere insieme grandi questioni filosofiche (l’origine egiziana e dunque africana della filosofia), tematiche dell’attualità (la minaccia di una crisi in grado di destabilizzare il mondo e il sogno di una nuova era) e intrattenimento. Sono molti anni che lavoro a questo romanzo e finalmente siamo alla fine.

In Italia si legge molto poco (addirittura i dati parlano di non più di due libri a persona in un anno). Da scrittore, come vivi questa situazione? Quando scrivi ti poni il problema di chi leggerà i tuoi libri?
Faccio sempre molta fatica, visto che il mio grosso problema è dove trovare posto in casa per le migliaia di libri che ho, a pensare ai non lettori o a quelli che leggono uno o due libri l’anno. Ma lascio da parte questo problema perché troppo complesso e vasto. Vengo all’altra questione: sì, quando scrivo mi pongo sempre il problema dei miei lettori. In particolare quando scrivo un libro non-accademico. Cerco di mantenere insieme tre esigenze: il massimo del rigore, della creatività e l’efficacia della scrittura. Quella che ho chiamato filosofia pop è anche questo: essere sperimentali, rigorosi e al contempo popolari. Il mio modello in questo senso non è la scrittura dei grandi filosofi del secondo Novecento, che pure amo. Il mio modello è la scrittura della grande serialità americana o di certi Blockbuster come il Batman di Nolan. E’ una scrittura complessa, sperimentale, creativa, ma in grado di tenere attaccati allo schermo gli spettatori. Ecco: voglio che i miei lettori restino attaccati alle pagine.

Come vedi, invece, l’apertura alle nuove tecnologie e il proliferare di E-reader e affini? Pensi che il libro di carta sia destinato a prematura dipartita?
Le nuove tecnologie creeranno nuove modalità di lettura che ancora non conosciamo; siamo agli albori di una nuova era, ma la vera trasformazione deve ancora avvenire. E’ solo quando queste nuove modalità di lettura e di scrittura, di cui non sappiamo quasi nulla, diventeranno egemoni che forse il libro cartaceo verrà marginalizzato. Per ora non vedo questo rischio.

Per finire, se ti chiedessero di promuovere la lettura con una frase, una sorta di spot, cosa diresti?

Ci vorrebbe qualcosa di forte. Basta con questa storia di “invogliare” alla lettura! Siamo stati troppo buoni, anche con gli studenti asini che leggono poco e non comprano i libri per cui non avrebbero i soldi (ma hanno tutti un cellulare sempre carico). E’ tempo di ricorrere alle minacce: “Se un uomo con un libro incontra un uomo che non legge, l’uomo che non legge è un uomo morto”.

Roberta Turillazzi

3 ottobre 2013

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