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Mauro Corona, ”Mi danno del bugiardo, pago un prezzo terribile al mio paese”

Mauro Corona, scrittore la cui figura evoca rispetto e riflessione, tanto semplice quanto vero perché non ha paura di rivelarsi per ciò che è, ha presentato il 03/05/15 al Teatro Sociale di Trento...

TRENTO – Mauro Corona, scrittore la cui figura evoca rispetto e riflessione, tanto semplice quanto vero perché non ha paura di rivelarsi per ciò che è, ha presentato il 03/05/15 al Teatro Sociale di Trento, in occasione della 63sima edizione del ‘Trento Film Festival’ il suo ultimo romanzo I misteri della montagna (Ed. Mondadori).

 

I MISTERI DELLA MONTAGNA – È un libro che sin dalle prime pagine risveglia in noi, la nostra parte bambina, la curiosità innocente. È il Cercatore, sotto la veste dello stesso Corona, che accende nel lettore la voglia di credere di nuovo nella magia; quell’istinto che veniva così spontaneo da piccoli, ma che crescendo si è perso. Mauro Corona offre un pensiero semplice ma profondo. Un romanzo in cui la realtà viene dapprima presentata con gli occhi di un bambino curioso e attento, e in seguito con gli stessi occhi diventati quelli di un adulto che ha acquisito una visione più concreta della vita. Lo scrittore fa un tuffo nella sua infanzia e ne esce bangato dall’incanto, nonostante i ricordi dolorosi che aleggiano nel suo cuore. Sgocciola la magia pagina dopo pagina fino a farla svaniere. Leggende, favole e apparizioni fantastiche lasciano il posto a storie di vissuto e ritrovamenti misteriosi. Il bambino diventato grande è rimasto sveglio, brillante, ma dopo una vita messa costantemente alla prova, fatta di abbandono, violenza e tragedia, il suo sguardo si è fatto triste e malinconico. Tuttavia, a dispetto di ogni ingiustizia subita, il suo lato bambino, che hanno cercato di ammazzare sin in tenera età, vive ancora in lui nel desiderio di preservare la memoria; per quanto questa faccia male. Un bisogno che è un’arma a doppio taglio, nelle mani dello scrittore che racconta il suo cammino e le sue esperienze rivelando il potere taumaturgico della montagna. E di come i suoi misteri lo abbiano salvato da una realtà troppo aspra e dura. Il Cercatore, fattosi più consapevole, nelle ultime pagine analizza il male che viene fatto alla montagna, e che è costretta a subire. I misteri della montagna si traformano anche in considerazioni personali. Si chiede cosa ne sarà, se qualcuno si prenderà ancora cura di lei, come merita. Azzarda diverse ipotesi sul suo destino. Il Cercatore è un’anima incastrata nel tempo, un uomo come tanti altri, in cerca di se stesso; attraverso i segreti, le leggende e i misteri che cela la montagna.

La montagna è un’ottima amica, per questo non bisogna lasciarla morire; perché lei saprà tenerci in vita, diventando come per il Cercatore, il nostro secondo DNA.

  

Qual è la differenza tra questo suo ultimo libro e gli altri, che riguardano sempre la montagna?  

I precedenti erano libri più provocatori, in un certo senso, più orrendi. Sempre ambientati in montagna, ma con fatti micidiali… fatti di sangue, di paure, di morte, di arrampicate, di vittorie, di sconfitte; questo è un libro più quieto. Ciò non vuol dire che non ci siano ombre dentro, ma sono ombre tranquille, che possono anche preludere alla fine, a un sentirsi verso i passi finali. Ma è un libro quieto, è un ripercorrere la mia infanzia. È come fare una scalata dall’alto verso il basso e ripartire. È un libro più sereno quindi, è questa la differenza, sinceramente

 

Cosa significa per lei ripercorrere le cose che furono?

È una liberazione e uno sfogo. Diceva Antonin Artaud: ‘Nessuno ha mai scrittodipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se nondi fattoper uscire dallinferno.’ Oltre che uno sfogo, è una testimonianza. I miei figli per primi devono capire che vita ha fatto il papà per guadagnarsi il pane, e per guadagnarsi un po’ di felicità che non ha mai avuto. Io ho redatto un documento, volendo, potrei andare dal notaio e depositarlo; non voglio morire frainteso.

 

Come ci si sente ad essere testimone di un tempo perduto?

E’ una tristezza. Ma non si può vivere di nostalgie. Io devo ragionare e documentare quello che è stato per salvare la memoria, ma guai a dire che allora si stava meglio o vivere di nostalgia. È stata un’epoca che io ho voluto fermare come documento, perché sta scomparendo. Ma io sto bene anche oggi, nonostante tutto… le difficoltà, gli anni… nonostante le intemperie di chi dice che ti vuol bene e ti rende la vita un inferno. Però occorreva documentare questa epopea che non c’è più. Quantomeno per soddisfare quel sentimento naturale che è la curiosità. Se perdiamo la curiosità siamo finiti.

 

Quando è nato in lei il bisogno preservare la memoria?

C’è sempre stato. Lo adottavo anche verbalmente, raccontavo storie ai miei figli; le avevo ricevute da mio nonno, da mia nonna, dai vecchi del paese. L’idea di tramandare ciò che è successo è un bisogno naturale, lo facevano gli antichi greci cinquecento anni prima dell’avvento dell’era cristiana; parlavano, non scrivevano nulla. È una cosa istintiva, per me… Che poi, scrivendolo mi togliesse dai miei incubi, dalle mie paure, m’ha fatto piacere. Ma quello che è successo bisogna tramandarlo come le tegole del tetto si tramandano l’acqua, una la passa all’altra, e allora, forse, non s’è vissuto invano.

 

Molti suoi lettori desiderano incontrarla, parlarle, farle sentire l’ammirazione che provano per lei, qual è il rapporto che ha con i suoi fan?

Guarda, io sono un tipaccio. Ma non è perché mi prendo sul serio, è che ogni tanto ho i miei incubi. E se all’inizio l’essere cercato, mi provocava gioia, oggi mi è diventato difficile. Però io devo rispettare i miei lettori, quindi mi adeguo, ho pazienza, faccio gli autografi, faccio il disegnino. Il problema è quando vengono a casa, infatti non ci sono mai… Perché magari è un lunedì che stai male perché hai fatto la sbronza, perché hai fatto baruffa coi figli, con la moglie e ti bussano alla porta e pretendono di entrare. Se non apri, sei fregato. ‘Ah, tu non sei quello che scrivi. Non compro più i tuoi libri!’ mi dicono. È difficile il rapporto coi fan, quindi per non offendere i miei lettori, preferisco non farmi trovare. Ma quando mi faccio trovare però sono con loro.

 

A proposito di questo, si è mai sentito frainteso dai suoi lettori?

Molte volte sono stato frainteso, addirittura, anche tecnicamente. Il lettore se lo deludi è di un cinismo, di una cattiveria, è la cartina al tornasole dell’animo umano. Io ho scritto tre libri sperimentando un linguaggio, ovvero Storia di neve (Mondadori 2008), L’ombra del bastone (Mondadori 2005) e Il canto delle manére (Mondadori 2009). Uso il verbo singolare dove richiede il plurale, dico ‘fursi’, al posto di forse, dico ‘cortello’ al posto di coltello. Mi sono arrivate alcune mails che dicevano: ‘Lei non conosce la lingua italiana, si vergogni’. Cioè, io devo aver pazienza con questa gente. Figuriamoci se non conosco la lingua italiana, ho letto due tir di libri io. Ma questi erano convinti che io non sapessi l’italiano e ‘Come fa una casa editrice a pubblicare simili sconcezze?!’ scrivevano. Sono stato frainteso dai miei stessi paesani. I miei romanzi sono inventati, così come le figure di certi personaggi. ‘Bugiardo!’ mi dicono. Io pago un prezzo terribile al mio paese. ‘Tu sei un bugiardo, quello lì non è mai esistito a Erto’. Diceva il mio amico Celio: ‘Maledetta l’ignoranza mal distribuita’… Però la persona sensibile e intelligente deve assorbire i colpi e sorridere. Un giorno forse capiranno, altrimenti, moriranno convinti che io sono un bugiardo. Siamo preda dell’ignoranza… Al mio paese mi dicono che sono un bugiardo, e forse hanno ragione, perché io re-invento la realtà.

 

Antonella Colcer

 

6 maggio 2015
 
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