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Le poesie più belle di Machado e Garcìa Lorca rivivono nelle nuove traduzioni del poeta Francesco Scarabicchi

Marcos y Marcos pubblica “Non domandarmi nulla”, del poeta anconetano Francesco Scarabicchi: il libro invita a rileggere due tra le massime figure poetiche della modernità europea (Antonio Machado e Federico Garcìa Lorca)...

Arriva in libreria “Non domandarmi nulla”, edito da Marcos y Marcos, in cui il poeta italiano Francesco Scarabicchi dà una nuova veste alle poesie di due maestri della letteratura spagnola

 

MILANO – Marcos y Marcos pubblica “Non domandarmi nulla”, del poeta anconetano Francesco Scarabicchi: il libro invita a rileggere due tra le massime figure poetiche della modernità europea (Antonio Machado e Federico Garcìa Lorca) attraverso le soluzioni di questa nuova traduzione: Scarabicchi privilegia la semplicità, opta per un registro medio e conserva al massimo grado le intonazioni lessicali e sintattiche del testo spagnolo. Abbiamo intervistato l’autore per chiedergli il significato che ha avuto per lui questa esperienza e quali difficoltà ha incontrato.

 

In qualità di poeta, che cosa hanno rappresentato e rappresentano per lei Antonio Machado e Federico Garcìa Lorca?

Sono stati, ormai in anni adolescenti, con Giuseppe Ungaretti, i primi poeti che ho incontrato sul mio cammino.  Hanno segnato la mia costellazione, il mio orecchio, tra essenzialità e colore, fra trasparenza e calore, nel solco della necessità, nel mare di una lingua che amo come poche, ‘entre el clavel y la espada’ come scriveva Rafael Alberti.

 

Che cosa, secondo lei, unisce e che cosa invece separa queste queste due importanti figure della letteratura spagnola?

Proprio quello che  ho detto nella risposta precedente. La poesia di Machado è un architettura vertiginosa in bianco e nero, ha la profondità solcata della lastra incisa; segno essenziale, estremo; la parola in lui è asciutta, senza riflessi e senza ombre, è partitura. Lorca è suono, aria,  movimento, tragedia e canto, visione  e  sogno, corpo e sensi, tradizione e futuro. 

 

Come è stato approcciarsi alla traduzione delle loro poesie? Quali difficoltà ha incontrato?

Un’irripetibile salita impervia toccata dalla felicità. C’erano notti in cui  tentavo le chiavi che avevo e la porta del senso e della lingua non si apriva.  Allora, come fanno alcuni pittori che girano la tela contro il muro, mi alzavo, accendevo un’altra sigaretta, bevevo un caffè e tornavo a lavorare. Solo quando ho mandato le prime prove a  Oreste Macrì, Carlo Bo e Francesco Tentori Montalto, ottenendo una sorta di ‘lascia passare’, ho proseguito sapendo almeno che la via era giusta. la traduzione (che preferisco chiamare  versione) deve  accostare la mia lingua il più possibile senza perdere l’origine, la madre, sapendo comunque che il rischio di tradimento è a due passi. Del resto, basta attenersi all’etimo del verbo tradurre o vertere, e si comprende quel che voglio dire.

 

Ritroviamo elementi di Garcìa Lorca e di Machado nella poesia di Francesco Scarabicchi?

Forse un’idea di rigore, di modo di essere; il tentativo di somigliare, come uomo, al sentimento espresso dai miei versi.  La dedizione assoluta,  ancora la necessità di comporre, sulla pagina,  quegli universi mentali e sentimentali che poi la lingua coniuga e armonizza. Un’ossessione musicale e la coscienza del  tempo, il vero artefice.

 

Il verso che dà il titolo al libro, “Non domandarmi nulla”, richiama alla mente Montale e il suo “Non chiederci la parola”. Può essere un accostamento appropriato, secondo lei?

Penso di sì, soprattutto per l’avverbio di negazione che interdice la possibilità. Per mesi l’ho portato con me ripetendomelo quel settenario, poi ho capito che  era la cosa che volevo a legare le due ante del libro, mondi vicini e abissali o forse facce di un’unica moneta. In ognuna delle sezioni c’è l’omaggio dell’uno all’altro. Non serve chiedere perché loro consegnano quel che basta a chi li incontra sulla pagina.

 

5 marzo 2015

 

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