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Giovanni Montanaro, ”Il futuro è come il fiume Po, ci sarà comunque”

“Ho ricominciato a scrivere come a nuotare in un fiume, senza sapere ancora dove andare, ed è stata presto gioia, natura, casa”. Dopo il successo di “Tutti i colori del mondo”, opera che lo ha proiettato all’interno della cinquina finale del Premio Campiello...

MILANO – “Ho ricominciato a scrivere come a nuotare in un fiume, senza sapere ancora dove andare, ed è stata presto gioia, natura, casa”. Dopo il successo di “Tutti i colori del mondo”, opera che lo ha proiettato all’interno della cinquina finale del Premio Campiello del 2012, Giovanni Montanaro scrive “Tommaso sa le stelle”, un’avventurosa “favola contemporanea” sospesa fra la magia del fiume e la vastità del mondo, fra un padre che non è mai stato padre e un figlio che scopre di poter essere ancora figlio, fra il desiderio di perdersi dentro la solitudine e la scoperta dell’altro, luminosa come una costellazione, alta come un cielo.

 

Come nasce la trama di questa favola contemporanea?

Nasce da molto lontano, in realtà. Nasce dall’essere capitato spesso in luoghi pieni di oggetti abbandonati, un antiquario di Sabbioneta e depositi giudiziari visitati per lavoro. In quei luoghi pieni di cose che non sono di nessuno, ma sono state di qualcuno, mi domando sempre: di chi erano? Su quel tavolo chi è che ha mangiato l’ultima volta? Chi ha fatto l’amore su quel letto? E quella lampada, è mai stata accesa una notte che non si riusciva a dormire? Mi piacciono gli oggetti, contengono molto. E ho pensato che qualcuno potesse nascondersi in un posto del genere. Un bambino. E mi sono domandato, allora: chi, oggi, in Italia, è in fuga, deve nascondersi, anche se è solo un bambino, anche se non ha fatto niente di male? Un clandestino, è stata la risposta. La scelta di raccontare in modo lieve, divertente, universale, è venuta dopo.

 

Per i personaggi protagonisti, Pietro e Tommaso, ti sei ispirato a qualcuno, reale o immaginario?

Io credo che in tutti i personaggi ci siano tanti pezzi diversi di persone, sentimenti, emozioni, dispiaceri e sorprese che si sono vissuti. Non c’è mai, salvo che non si scriva Limonov, una persona sola. Dentro Pietro ci sono tante cose mie, per esempio, al di là della difficoltà di riconoscere le stelle in cielo. Ma anche dentro Tommaso, tutto lo scherzo, la leggerezza di fronte al dolore. E, ovviamente, tutto intorno ci sono anche tante letture: “Il piccolo principe”, “Io non ho paura”, “La vita davanti a sé”, Eric Emmanuel Schmitt. C’è l’amore per Fellini. Ma c’è anche la cronaca di questi giorni. Il tutto però letto con affetto, voglia di guardare al futuro che è come il Po, ci sarà comunque.

 

Solitudine e voglia di scoprire l’altro: quanto è sottile il divario tra questi due sentimenti contrastanti? Cosa può spingere ad aprirsi agli altri, come avviene al personaggio protagonista del libro?

Mi sono molto interrogato su come suscitare il rapporto tra Pietro, un italiano di sessant’anni che ama la lirica ma è un solitario per scelta e vocazione, che non si informa, non ha un pensiero critico, ma semmai burbero, sulla realtà, e Tommaso, un ragazzino che non parla una parola di italiano ma ha un amore, le stelle, un viaggio da fare. Cosa poteva accadere? Io credo che la reazione di Pietro sia istintiva, animale: difendere un cucciolo della sua specie. Un cucciolo che ha bisogno di mangiare, stare al caldo, lavarsi. Credo che in questa radice stia il senso di questo libro anche rispetto al tema enorme che affronta.

 

Con quale stato d’animo ti sei approcciato alla scrittura di quest’opera, dopo il successo sorprendente del libro “Tutti i colori del mondo”?  

“Tutti i colori del mondo” per me è stato un libro importante e impegnativo, esigente. Mi ha stravolto la vita e poi riportato al centro. Ho ricominciato a scrivere come a nuotare in un fiume, senza sapere ancora dove andare, ed è stata presto gioia, natura, casa. Pietro e Tommaso si sono nascosti a lungo tra le parole, sono stati cercati, lambiti, poi acciuffati come rami nell’acqua. Avevo voglia di scrivere un libro ambientato in Italia, contemporaneo, in cui mi giocassi la voglia di raccontare per la prima quello che avevo intorno, e mi sono molto divertito, e ho sorriso. Se penso a perché mi piacciono tanto Dalla o Battiato, è perché sanno farmi piangere ma anche ballare. A me è capitato scrivendo, spero che capiti anche a chi legge.

 

 

18 dicembre 2014

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