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Daniel Pennac, “La questione migranti riguarda tutti i cittadini europei”

L'autore francese ha inaugurato la sedicesima edizione di Pordenonelegge con una conversazione con il giornalista di Repubblica Fabio Gambaro, con il quale ripercorre la sua carriera di scrittore, raccontata quattro mani nel libro L’amico scrittore.

PORDENONE – Ad inaugurare la sedicesima edizione di Pordenonelegge è Daniel Pennac, che in una conversazione con il giornalista di Repubblica, Fabio Gambaro ripercorre la sua carriera di scrittore, raccontata “ davvero a quattro mani” in L’amico scrittore (edito da Feltrinelli), libro nato, rivelano i due, proprio a margine di un incontro di questo festival due anni fa , quando dopo i famosi “dieci diritti del lettore”, pensarono a tracciare la mappa dei possibili diritti dello scrittore, a cominciare da quello fondamentale della libertà di scrittura. Il libro è un’incursione nell’officina del popolare romanziere, tra ricordi e riflessioni, in cui Pennac si esprime – oltre che sulla genesi e i caratteri delle sue opere – sul mestiere dello scrittore, la lingua, il teatro, la lettura, la scuola, la cultura, la famiglia, la politica e l’Europa.

IL RITORNO ALLA LETTERATURA – Ma qui nell’incontro inaugurale di Pordenonelegge le riflessioni di Pennac vogliono essere soprattutto di letteratura, perché – dice- “c’è la tendenza a chiedere agli scrittori il loro sguardo sul mondo, sulla scuola, su ogni problema e si finisce per dimenticare ciò che invece è stato scritto: lo scrittore, come tale, racconta il proprio passaggio nel mondo e non ha le conoscenze precise di geopolitica, o almeno io non le ho, per spiegare quanto ogni giorno avviene al mondo. Io mi sento solidale con quanto succede, ma evito le teorizzazioni”.

E’ Gambaro, invece, a rispondere sul perché gli scrittori, in questo periodo più che mai, sono chiamati ad interpretare l’attualità: “perché – dice il giornalista – sono dei punti di riferimentO, quasi degli oracoli, in un mondo smarrito che ha perso i propri paradigmi”.

Chi è dunque lo scrittore? Chi ha desiderio di trasformare in scrittura la propria immaginazione e il bisogno di renderne partecipi gli altri, i lettori. “Cosi succede a tutti i narratori – spiega Pennac – Tranne a Pessoa che scrisse il Libro dell’inquietudine, avendo cura di stracciare tutte le pagine poi fortunosamente e fortunatamente ritrovate”. Ma è un’eccezione, gli scrittori scrivono per comunicare e si prefigurano diversi interlocutori a seconda della forma narrativa scelta, ecco che con il saggio ci si prefigura un lettore razionale, con il romanzo invece un lettore emotivo e partecipe, anche se con la saga di Malaussène, Pennac rivela di essersi lasciato immergere, come nell’acqua, nella lingua, arrivando a creare un finto argot, una musica che rivela vorrebbe ancora suonare. Non a caso uno dei capitoli del libro si intitola Il ritorno di Malaussène. Ma più di questo lo scrittore francese non vuole svelare e, incalzato invece da una domanda di Gambaro, si sofferma a descrivere i cambiamenti di Belleville in trent’anni.

I TRENT’ANNI DI BELLEVILLE – “Belleville – dice Pennac – racconta un’esperienza ricca, fragile e preziosa come lo è stata la compresenza di varie culture a Sarajevo o a Beirut, mescolanze che a un certo punto sono implose. Belleville è nata come quartiere operaio, poi ha accolto i primi ebrei dall’est Europa agli inizi del ‘ 900 e via via i nuovi francesi della decolonizzazione, i cinesi e curdi. Una realtà miracolosa che sopravvive ancora perché il tessuto commerciale e culturale- le scuole- sono multietniche e per questo l’equilibro si è mantenuto”. Altrove, non è stato cosi, e da qui, su suggerimento di Gambaro, è ovvio passare ad interpretare il presente delle migrazioni e quali risposte deve dare l’Europa.

I RIFUGIATI E L’EUROPA – Pennac a questo punto si infiamma: “il linguaggio con cui si parla dei rifugiati è inquietante: si usano termini come ondate o invasioni, ma non conosciamo i veri numeri e soprattutto le proporzioni. Sappiamo le giuste cifre – un milione mezzo – di movimenti migratori attorno al Libano, ma l’entità del numero non ci fa paura perché è un problema loro, non nostro”. “Rifiuto – conclude lo scrittore – di trattare la questione nazione per nazione, come vorrebbero i vari nazionalismi dei singoli paesi . E’ un problema comune di tutti , se non fosse cosi vorrebbe dire che l’Europa culturalmente non esiste. Se negli anni ’70 i cinque paesi fondatori avessero pensato a programmi di scambio tra studenti all’interno dei loro stati, avremmo ciascuno imparato dall’altro e non troveremmo cosi strano quanto sta succedendo, essendoci educati alla diversità”.

 

Alessandra Pavan

17 settembre 2015

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