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Scrittura, carattere e personalità ai tempi dei social

Scrivete ancora a mano, nonostante ormai i cellulari e i computer sembrino l'unica alternativa alla penna? In un articolo pubblicato sul "The Atlantic", la giornalista Rachel Gutman-Wei riflette sul valore della scrittura ai tempi dei social.

I grafologi e gli appassionati potranno confermarlo: la scrittura rivela tanto del nostro carattere e della nostra evoluzione. Eppure, possiamo affermarlo ormai con cognizione di causa, siamo dinanzi ad una pratica sempre meno frequentata: il computer e i cellulari, con la loro rapidità, si adattano più agevolmente alle nostre vite veloci e frenetiche.

In un articolo pubblicato sul The Atlanticrecentemente ripreso anche da Internazionale con una traduzione a cura di Amadio Ruggeri, la giornalista ed editor Rachel Gutman-Wei ci ha raccontato di come la scrittura – a mano, beninteso – costituisca un passaggio fondamentale nel nostro percorso di crescita e di come questa cambi al cambiare del modo in cui ci vediamo.

La scrittura rivela un po’ di noi

“Because I am a writer, and because I am a hoarder, my apartment is littered with notebooks that contain a mixture of journal entries and school assignments. Many pages don’t have dates, but I can tell which era of my life they correspond to just by looking at the handwriting”.

Gutman-Wei introduce il suo articolo raccontando di come, viste la professione che esercita e la naturale tendenza di accumulatrice seriale, casa sua strabordi di quadernetti e blocknotes con appunti di ogni genere. Sfogliandoli, la loro autrice riesce con destrezza a riconoscere il periodo in cui la sua mano li ha prodotti. Merito della scrittura, che cambia al cambiare del periodo in cui gli appunti sono venuti alla luce.

Sarà capitato a ciascuno di noi, infatti, di trovare in casa un quadernetto o un post-it con una grafia diversa da quella che pratichiamo attualmente, e di riflettere sui cambiamenti che si sono verificati, tanto nei caratteri con cui abbiamo impresso su carta le lettere dell’alfabeto quanto nel nostro, di carattere.

Dice Rachel Gutman-Wei, che la scrittura è specchio del nostro io più profondo, dei nostri sogni:

“In the earliest examples, from elementary school, my print is angular, jagged; even the s’s and j’s turn sharp corners. In middle school, when I wanted to be more feminine (and was otherwise failing), I made my letters rounder, every curve a bubble ready to pop. In my junior year of high school, when it was time to get serious about applying to college, I switched to cursive, slender and tightly controlled”.

Spigolosa, lenta, non pienamente padroneggiata: così è la scrittura della prima ora di Gutman-Wei. Alle scuole medie, invece, assume caratteri più tondeggianti, curvi, quasi a voler estroflettere il desiderio di femminilità dell’autrice. Più tardi, invece, i caratteri si fanno affusolati, controllati, eleganti ma non estrosi, adatti all’imminente ingresso all’università.

La scrittura, insomma, rappresenta lati più o meno consci del nostro carattere, rivela un po’ di noi.

Storia della scrittura nei secoli

Nel suo articolo, Rachel Gutman-Wei dedica un interessante paragrafo alla storia della scrittura e dell’insegnamento nel corso dei secoli, focalizzandosi sulle differenti grafie adottate, per convenzione, da uomini e donne e da uomini appartenenti a classi sociali diverse: se agli uomini veniva insegnato a scrivere usando il Roundhand, un font molto marcato ed evidente, alle donne invece veniva tramandato il Corsivo italico, un tipo di carattere molto più delicato e sottile, affusolato e pulito.

Esistevano poi vari generi di carattere: i mercanti imparavano a scrivere con una grafia chiara, particolarmente adatta alla rapidità necessaria per le compravendite; gli avvocati praticavano un font molto più arzigogolato, gli aristocratici un altro ancora diverso. Insomma, la scrittura rivelava anche l’appartenenza sociale, tanto che ad un certo punto, quando le donne hanno cominciato a combattere per la parità di genere, la lotta è passata anche attraverso l’acquisizione del Roundhand. 

Scrittura standardizzata e perdita di personalità

Ci sono state epoche in cui la scrittura ha acquisito un ruolo di primaria importanza anche nello studio letterario. Edgar Allan Poe, per esempio, ha dedicato un volume all’analisi delle grafie di vari autori partendo dalle loro firme. La grafologia, poi, è diventata sempre più frequentata sia dagli addetti ai lavori sia dagli appassionati, che vi trovavano un modo per scoprire qualcosa di più sul carattere delle persone protagoniste degli studi.

Ma cosa succede ora che in pochi continuano a scrivere a mano? Anche a scuola, la scrittura al pc è sempre più frequente. Molti dei giovanissimi non riescono o non si trovano a loro agio a scrivere in corsivo. Sembra che il tratto più personale e intimo della scrittura si stia piano piano affievolendo, e che questa stia diventando soltanto una skill, un’abilità da imparare perché utile.

Gutman-Wei, con il suo articolo, ci induce a interrogarci sul ruolo della scrittura oggi e su come la stiamo sostituendo, nel suo aspetto psicologico e intimistico, con i social: è attraverso la nostra bio di Instagram che ci identifichiamo, o magari grazie ad una foto. Il nostro feed, così come le nostre pagine social, hanno un’atmosfera, un mood che ci rappresenta e parla di noi, proprio come faceva la scrittura prima dell’avvento dei social.

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