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Lettera d’amore di Stefania Borgese

Mio perduto amore, ti scrivo perché più volte ho tentato inutilmente di parlarti, per farti rilevare la tua eterna indifferenza nei miei confronti, e ogni volta ho dovuto estrarre con molta sofferenza dal mio cuore parole amarissime, che non hai mai voluto comprendere.

In quasi dieci anni di matrimonio, non sei mai stato capace di aprirti sinceramente a me, o forse non ne hai mai avuto il coraggio. Anzi, più spesso ti sei chiuso, trascinando un’esistenza alla quale io non sono stata mai ammessa a partecipare, neanche come una spettatrice qualunque.

Poi, col tempo, anch’io ho perso l’abitudine di parlarti, e quando ancora cerco di farlo riesco soltanto a dire crudeltà , nelle quali non mi riconosco. I nostri due linguaggi sono ormai talmente differenti da risultare reciprocamente incomprensibili.

Mi chiedo se per te valgo almeno una riflessione silenziosa, perché dopo anni di ostinati silenzi non so più cosa aspettarmi.
Mi chiedo se talvolta mi guardi davvero, e se mi trovi cambiata dall’ultima volta che lo hai fatto. Perché non sono più la stessa donna che hai sposato anni fa, e la tua indifferenza mi distrugge.

Mi chiedo che senso abbiano tutte quelle rughe che mi segnano il viso. Eppure mi piaceva osservare il mio corpo trattenere con fierezza un po’ alla volta i segni del tempo. Oggi ho due lunghi solchi sulla fronte che definirei d’espressione, frutto di tanti momenti di delusione e di amarezza con te.
Mi chiedo perché la donna che hai conosciuto si spenga lentamente inseguendo invano il suo eterno sogno di completezza, e rifugga dai consigli sensati delle amiche, che le prescrivono, come cura, proprio di fuggire.

Mi chiedo perché ogni anno che passa osservo le mie emozioni in divenire: l’insoddisfazione diventare inquietudine, fino a tramutarsi in rabbia, e poi in rassegnazione.
Mi chiedo quanto tempo sia passato dal nostro ultimo contatto fisico; un tempo infinito, probabilmente, tanto da impedirne il ricordo e tarpare le ali a qualsiasi immaginazione.

Mi chiedo addirittura se sarei ancora capace di fare l’amore con te, perché quando ci sfioriamo, del tutto casualmente, prevalgono l’insofferenza e l’imbarazzo. Spogliarmi davanti a te è ormai un atto di sfida rassegnata, in cui temo solo d’incrociare i tuoi sguardi, privi di qualsiasi desiderio.
Mi chiedo quanti dettagli di vita abbiamo perso lungo il nostro cammino, sempre meno parallelo e sempre più divergente, e quanto ogni perdita mi abbia resa sempre più sprezzante e astiosa nei tuoi confronti. Così, ogni giorno e da molto tempo, passo apparentemente senza ragione da una quiete rassegnata a una rabbia estrema, consumando come una candela ogni scampolo di energia.
Mi chiedo come sia possibile che due persone vivano sì a lungo insieme in una tale assenza di parole, e questo mi conferma ulteriormente che il nostro amore è finito.

Mi chiedo se, consapevoli di tutto questo, sapremo almeno trovare il modo di essere amici, per affrontare quello che resta di questo cammino.
Forse mi chiederai se ho intenzione di lasciarti un’altra possibilità. Non giudicarmi male se ti rispondo che te ne ho lasciate per tanto tempo e non le hai mai colte, e adesso sono troppo delusa e stanca per concedertene ancora. Davvero non ce la farei più ad amarti, dopo averci provato così a lungo malgrado la tua indifferenza, perché amarsi per me significa donarsi interamente, diversamente da come lo intendi tu. Significa unirsi, fondersi, accompagnarsi, sostenersi… tutte azioni che presuppongono un impegno appassionato e reciproco, una continua e rinnovata promessa.

Non ti nascondo che non mi mancheranno i nostri bei momenti insieme, perché a parte la nascita di Penny, fatico a ricordarmene qualcuno.
Probabilmente, se ti conosco abbastanza, adesso sarai distrutto e forse allibito per tutto ciò che ti ho scritto, ma se il tempo ce lo concederà un giorno potremo riuscire a parlarne serenamente. Sei comunque il padre della mia splendida bambina, e solo per questo ti ringrazio e continuero a volerti bene comunque.

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