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Meglio “sicario” o “killer”? Ecco alcune curiosità sulle parole della lingua italiana

La lingua italiana, in continuo cambiamento ed evoluzione, è ricca di curiosità e particolarità che non tutti conoscono. Eccone alcune

MILANO – La lingua italiana, in continuo cambiamento ed evoluzione, è ricca di curiosità e particolarità che non tutti conoscono. Abbiamo chiesto a Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche e responsabile del nostro blog “Perché si dice“, di illustrarcene alcune tra le più curiose.

Vi siete mai chiesti perché chi uccide su commissione era/è chiamato “sicario“, oggi sostituito dal termine barbaro “killer”? Perché la persona che compie questa “missione” era fornita di “sica”, vale a dire di un pugnale atto a sgozzare le vittime designate. Oggi questi “professionisti” dispongono di armi piú moderne, ma il termine antico è rimasto.

L’abito talare – chi non lo sa? – è la veste indossata dai religiosi. Ma tale abito può essere portato anche da persone che non hanno niente che vedere con la religione. Perché? Perché questo indumento indica una veste lunga fino alle calcagna. Viene, infatti, dal latino “talus” (tallone). Potremmo dire, quindi, stando all’etimologia, che alla prima alla Scala tutte le signore erano in abito talare.

La vacca e la mucca, cioè la femmina dei bovini adulti, pur essendo parole sinonime hanno “origini etimologiche” completamente diverse. La vacca è pari pari il latino “vacca”. La mucca, invece, è il germanico-elvetico Mücken (moscerino).  Sembra che i Lanzichenecchi e i mercenari svizzeri – calati nel nostro Paese – trovassero le nostre vacche gracili e placide in confronto alle loro e le chiamarono, appunto, “moscerini” (Mücken). Il termine si diffuse rapidamente in tutta la Penisola e venne italianizzato in mucche.

Ecco uno dei tanti vocaboli che pure avendo la medesima grafia cambia di significato secondo la pronuncia (ortoepia): foro. Pronunciato con la “o” aperta (fòro) questo sostantivo indica la piazza dell’antica Roma, oggi designa il tribunale; con la “o” chiusa (fóro) si intende un’apertura, un buco. Quindi: Giulio è un principe del fòro (tribunale); Claudio ha fatto un fóro (buco) nel muro per farvi passare il filo del telefono.

Due parole sull’uso del verbo rimbalzare. È un verbo intransitivo della I coniugazione e si può coniugare con entrambi gli ausiliari (essere e avere) quando è adoperato assoluto (da solo): il pallone, lanciato con poca forza, non ha/è rimbalzato subito. Prenderà l’ausiliare essere quando è indicato il luogo del rimbalzo: il pallone è rimbalzato oltre la linea del campo.

 

Fausto Raso

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