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Marco Amerighi, “Le nostre ore contate è un romanzo di de-formazione”

In occasione dell'uscita del libro di Marco Amerighi "Le nostre ora contate", in cui affronta la scottante tematica dell'amianto, abbiamo intervistato l'autore

MILANO – Un libro che tratta di una tematica scottante come quella dell’amianto e delle conseguenze che ne nascono da un contatto prolungato. Le nostre ore contate è l’ultimo lavoro di Marco Amerighi, e in occasione dell’uscita del libro abbiamo intervistato l’autore. Ecco cosa ci ha risposto:

 

Come mai ha scelto di trattare una tematica scottante come quella dell’amianto?

Ho sentito il bisogno di farlo quando ho scoperto che al suocero di un mio caro amico era stato riscontrato un mesotelioma pleurico: un tipo di tumore ai polmoni molto aggressivo e provocato dall’esposizione prolungata alle fibre d’amianto. Non sapevo niente di questo tipo di patologie né dei rischi che hanno corso gli operai che, per anni e anni, hanno maneggiato l’amianto per coibentare i vapordotti che portavano il vapore alla centrale geotermica a pochi chilometri da casa mia. E allora ho iniziato a studiare, a documentarmi, a partecipare a convegni. E più il tempo passava e più mi rendevo conto che quella tematica non era soltanto affascinante da un punto di vista romanzesco (perché conteneva tutto ciò che mi interessava: vita, morte, lavoro, illusioni di benessere…), ma era diventata necessaria da un punto di vista personale, per affermare chi ero e da dove venivo. Perché parlava delle mie origini e di una storia dolorosa che, come spesso accade nel nostro paese, era stata nascosta, mal raccontata o dimenticata.

 

Quale messaggio vuole lasciare con il suo libro ai lettori?

Vorrei che questo romanzo fosse una storia godibile, con personaggi da odiare e altri per cui fare il tifo e che, al contempo, fosse profondo abbastanza da smuovere qualcosa nel lettore. Non voglio, però, essere io a dire che cosa. Perché questo libro ha molte anime, e contiene molti temi e sotto-temi. Non c’è solo l’amianto e l’idea di una letteratura “politica” che illumini alcune tra le pagine più nere della nostra storia italiana: ci sono quattro adolescenti che vedono nella musica punk la possibilità di un futuro diverso da quello dei loro padri; c’è una Toscana aspra e solitaria, lontana dalle immagini stereotipate da cartolina, con i vitigni in fiore o le città d’arte; c’è un rapporto faticoso, quasi ribaltato, tra un padre e un figlio; e poi ci sono due casi di persone scomparse (uno dei migliori amici del protagonista, nel 1985; e suo padre, nel 2005) che fanno da il fil rouge all’intera narrazione. Quindi, direi piuttosto che ne Le nostre ore contate ci sono molti messaggi. Quali emergeranno di più e quali resteranno taciuti, dipenderà solo dal lettore. Ma, in fondo, il bello dei libri sta proprio in questo, no?

 

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Avevo scritto un racconto intitolato “Quello che fanno le fiamme”, i cui protagonisti erano Momo, il Trifo, Sauro e il Dottore che appaiono nel parte de Le nostre ore contate ambientata nel 1985. Credo che avrei potuto scrivere un intero romanzo su questi quattro adolescenti scapestrati che mettevano su un gruppo punk per sfuggire alla noia della provincia: un romanzo di formazione “alla Stephen King”, diciamo. Invece, venni a sapere di quell’operaio di sessanta due anni (di cui parlavo sopra) che aveva trascorso la vita a lavorare in una centrale geotermica, a stretto contatto con l’amianto e capii che questo romanzo poteva essere qualcosa di più. Doveva esserlo. E, così, ho trasformato il suocero del mio amico nel padre di Sauro (il protagonista del racconto) ed è nato Le nostre ore contate. Un romanzo di de-formazione, lo chiamerei ora, che guarda sì ai padri della letteratura industriale italiana (da Volponi a Edoardo Nesi), ma anche a John Steinbeck e Richard Ford, i grandi romanzieri che sono stati in grado di dipingere una natura aspra in cui gli uomini regrediscono ai loro ruoli primigeni.

 

Perché lei ha scelto di raccontare di un momento delicato come quello dell’adolescenza?

L’adolescenza è un momento incredibilmente fertile, dal punto di vista narrativo. A quell’età i ragazzi hanno la forza e la durezza degli adulti, si sentono invincibili, incorruttibili, certi che niente e nessuno potrà mai cambiarli. Ma è proprio in questa illusione che risiede il loro essere ancora bambini: perché, di lì a poco, il cambiamento – fisico e mentale – li travolgerà come un fiume e tutto ciò che ritenevano eterno, scomparirà o andrà in frantumi. Qualcuno saprà ricostruirsi come adulto. Altri non ce la faranno. Credo che in quella frontiera, in quell’attesa di rintracciare la propria identità, risieda qualcosa di unico.

 

Ha già progetti per il futuro?

Ho scritto molte pagine di un nuovo, lungo romanzo. Ma sono abituato a lavorare a più storie in contemporanea perciò ammetto che, al momento, sto anche disponendo i tasselli di un romanzo nuovo di zecca, la cui storia è ambientata in un territorio non molto distante da quello de Le nostre ore contate. Vedremo quale storia tirerà su la testa per prima

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