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In mare non esistono taxi, nel libro di Saviano le testimonianze di 4 fotografi

In mare non esistono taxi, nel nuovo libro di Roberto Saviano le testimonianze di quattro fotografi che hanno visto con i loro occhi cosa succede nel Mediterraneo

MILANO – Roberto Saviano lascia la parola a chi sa di cosa parla. Il suo nuovo libro In mare non esistono taxi (Contrasto) è una raccolta di testimonianze di fotografi che hanno saputo raccontare con i loro scatti gli orrori che accadono da anni a chi tenta di attraversare il Mar Mediterraneo. Più di 100 fotografie raccontano le condizioni di vita dei migranti, a partire dalla traversata nel deserto che precede l’imbarco, la prigionia nei campi libici, e infine l’incubo della traversata del Mediterraneo.

in mare non esistono taxi saviano
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Gli scatti di Martina Bagicalupo, Lorenzo Meloni, Alessandro Penso, Moises Saman, Massimo Sestini, accompagnano i dialoghi con Giulio Piscitelli, Paolo Pellegrin, Olmo Calvo, Carlos Spottorno, quattro grandi nomi della fotografia contemporanea a cui Roberto Saviano ha chiesto un’intervista, per fargli raccontare in prima persona le situazioni a cui hanno assistito e dialogare sul significato della fotografia come testimonianza. In conclusione al libro, un dialogo con Irene Paola Martino, infermiera di Medici Senza Frontiere.

Non sono taxi

«Testimonianza non è diffondere un dato, ma portare la prova con il proprio corpo di ciò che si sta dicendo». L’espressione “taxi del mare” è diventata virale a partire dal 21 aprile 2017, coniata da Luigi di Maio in un post su Facebook in cui metteva in dubbio l’onestà delle ONG che operano nel Mediterraneo. Lo scopo di questo libro è riportare il dibattito lontano dagli ai dati slogan politici e avvicinarlo ai dati di fatto, concreti e incontrovertibili nella loro presenza fisica (e fotografica). La fotografia, dice Paolo Pellegrin «può colmare la distanza tra la realtà e una visone fredda e astratta delle cose, soprattutto in una situazione fatta di slogan, di grande superficialità, che esprime la non volontà di affrontare davvero il tema».

Giulio Piscitelli ha ripercorso assieme alla sua macchina fotografica le rotte più battute dai migranti africani, a partire dall’attraversamento del deserto del Sahara: «Non ci sono stime esatte dei morti nel deserto proprio perché sono luoghi per lo più inaccessibili, ma le persone che perdono la vita nella traversata sono moltissime, circa 2.500 all’anno». A guidare il traffico sono organizzazioni criminali, che stipano uomini, donne e bambini su camion, per poi affidarli ai contrabbandieri in Libia. Molti vengono abbandonati nel deserto durante il viaggio, morti di fame, di sete o di malattia.

Cosa succede in Libia

Chi riesce ad arrivare in Libia non ha finito di soffrire. «Significa essere rinchiusi in strutture sovraffollate con un buco dove defecare in cento; significa vivere in celle dove viene gettata una bottiglia d’acqua per decine di uomini che nell’arsura devono conquistarsela a calci e pugni. Significa subire continui pestaggi decisi dalle guardie, scariche elettriche e frustate come punizione anche solo per una risposta data con troppa enfasi; significa essere utilizzati per il lavoro forzato, come schiavi; questo per un tempo indeterminato che finisce solo quando la famiglia del migrante paga il riscatto. Per i trafficanti libici i migranti sono un bancomat: più riescono a incarcerarne, più guadagneranno» (p. 64).

Il ruolo delle ONG

Olmo Calvo ha avuto occasione nel corso della sua lunga carriera di fotoreporter di lavorare sulle navi delle ONG che operano nel Mar Mediterraneo. «Grazie al lavoro delle ONG, giornalisti come me riescono a documentare la situazione nel Mediterraneo, registrare queste circostanze altrimenti sarebbe impossibile. […] Quando vai in missione, hai modo di vedere davvero come avvengono i salvataggi e capire cosa accade. Vedere arrivare i migranti su gommoni precari, con il rischio e il terrore che la barca possa affondare da un momento all’altro e che la gente muoia, ti fa capire veramente l’importanza di queste organizzazioni e del loro coinvolgimento».

Lesbo, Grecia, 2015 © Paolo Pellegrin/Magnum Photos /Contrasto
Lesbo, Grecia, 2015 © Paolo Pellegrin / Magnum Photos / Contrasto

La testimonianza di Medici Senza Frontiere

“Poi arriva lo schiaffo del primo gommone visto con i tuoi occhi […] I migranti sono così vicini a te che senti le loro voci, vedi il bianco delle sclere dei loro occhi, percepisci il terrore di chi non aveva mai visto il mare…E i numeri si trasformano in persone, che hanno un nome, che esistono, sperano e sognano, come tutti noi.” Sono le parole di Irene Paola Martino, infermiera per Medici Senza Frontiere intervistata da Roberto Saviano.

Irene racconta le condizioni di salute estremamente precarie dei migranti da lei soccorsi nei nove mesi di lavoro sulla nave Bourbon Argos. A bordo dei barconi uomini, donne e bambini sono esposti alle condizioni climatiche più estreme, tra notti ghiacciate e mezzogiorni cocenti, stipati nelle stive dei barconi senza possibilità di respirare, costretti a fare i propri bisogni nella stessa unica stanza dove si dorme. Condizioni igieniche inesistenti, mancanza di cibo e assistenza medica. Molti di loro vengono soccorsi perché gravemente ustionati: la benzina del motore dei gommoni spesso fuoriesce dalle taniche, si mescola all’acqua di mare e a causa del calore del sole genera orrende ustioni chimiche. Questa è la vera “malattia dei gommoni”, come l’ha chiamata il dottor Pietro Bartolo, medico di Lampedusa.

Mar Mediterraneo, 2014 © Massimo Sestini
Mar Mediterraneo, 2014 © Massimo Sestini

Non è politica, è umanità, dice Roberto Saviano

«Ognuno può avere il parere politico che vuole a riguardo dell’immigrazione, ma qui siamo in una fase pre-politica», dice Roberto Saviano intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa. Migliaia di persone sono morte e continuano a morire poco al largo delle nostre coste. Non esistono taxi, non è una pacchia. È un’emergenza umana di fronte alla quale non possiamo chiudere gli occhi.

 

di Chiara Fossati

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