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L’irresistibile fascino dei libri che non riusciamo a definire

Ci sono alcuni libri che sfuggono a qualsiasi tipo di categorizzazione. Sono libri interessanti, liberi e fondamentali. Non hanno nome

MILANO – Il mondo è caotico, frenetico, confuso. Per poterlo abitare, l’uomo ha bisogno di fare chiarezza, di cercare un ordine e di dare un nome alle cose. Pensiamo all’universo dei libri: ce ne sono tantissimi, di diverse tipologie, scritti in epoche diverse, in forme diverse. Come racconta Italo Calvino in “Se una notte d’inverno un viaggiatore“, il rischio a cui il lettore può incorrere entrando in libreria o in biblioteca è quello di sentirsi in soggezione davanti alle migliaia e migliaia di libri che si trova davanti. E pensare che quelli sono soltanto una piccolissima, infinitesimale parte dei libri che sono stati scritti. Però delle linee guida le abbiamo: siamo sicuri che dove sono indicati i “romanzi gialli” troveremo delle storie di investigatori intenti a risolvere il dilemma sorto intorno a un omicidio, sotto la scritta “psicologia” troveremo libri inerenti a quell’argomento, e così via. Però ci sono alcuni libri che sfuggono a ogni etichetta, che quando tentiamo di definirli sfuggono a qualsiasi possibile indicazione tipologica. Quei libri senza nome, a ben vedere, hanno un fascino tutto particolare.

LIBRI SENZA NOME – “Ci sono dei libri, molti libri, che si somigliano – un po’ – e che non riescono ad avere un nome. O forse ne hanno troppi, che è il modo migliore per non averne nessuno” scrive Martín Caparrós sul quotidiano “El País” (l’articolo è stato pubblicato nella traduzione italiana su www.internazionale.it). Non stiamo parlando di libri strani o straordinari. Sono romanzi, anche se spesso vengono definiti non fiction. Qualche tratto in comune lo hanno ma molti altri versi sono incommensurabili. Pensiamo ai libri di Gabriel García Márquez, Emmanuel Carrère, Cees Nooteboom, Juan Villoro, Marguerite Yourcenar, Julio Cortázar, Isabel Allende, David Foster Wallace, Tom Wolfe o John Le Carré.

UN PATTO PRECISO COL LETTORE – Finora siamo riusciti a dire soltanto quello che non sono, ma comincia a diventare piuttosto frustrante, sia per noi che per loro, che si ritrovano senza nome. Non sappiamo se troveranno, magari in futuro, un genere diverso dal generalissimo e insoddisfacente “non-fiction”. Quel che è certo è che questi libri, come scrive Martín Caparrós, “sono il rifugio del miglior giornalismo: davanti alla rinuncia della maggior parte dei mezzi di informazione, che temono di dover pagare il prezzo di tentativi di una certa portata e di usare il loro spazio per pubblicarli, alcuni dei giornalisti più preparati, più inquieti, trovano in quei libri uno spazio in cui possono davvero fare il loro lavoro”. Approcciandosi ai romanzi di questi autori il lettore può iniziare il viaggio nel libro con la sicurezza di un patto che gli è stato proposto dallo scrittore: “ti prometto che quello che ti sto raccontando qui non è il prodotto della mia immaginazione. È successo, l’ho saputo, ci ho pensato, l’ho strutturato, lo scrivo”.

SPAZIO ALLA LIBERTA’ – Questi libri sono garanzia di libere scelte, libere vite e liberi acquisti. Libri liberi che raccontano storie tanto diverse quanto significative: dalla caduta dello scià di Persia o all’intimità di una famiglia mafiosa, dalla vita di un grande rivoluzionario ai viaggi dei migranti più maltrattati. Sono libri che non durano un mese, ma che restano importanti nel tempo. C’è chi li chiama, riprendendo la perifrasi di García Márquez, “racconti che sono verità”, chi “new journalism”. Martín Caparrós preferisce il termine spagnolo “cronìca”. E voi?

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