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Giovanni Verga, le frasi e gli aforismi più celebri

In occasione dell'anniversario di uno dei più importanti scrittori italiani, ecco una selezione dei suoi aforismi più noti

MILANO – Il 2 settembre 1840 nasceva a Vizzini Giovanni Verga, uno degli scrittori più importanti della letteratura italiana, padre del Verismo e autore di uno de “I Malavoglia”, uno dei più importanti romanzi dell’Ottocento. In occasione dell’anniversario, vi proponiamo i suoi aforismi più famosi.

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“Siamo degli umili fiorellini avvezzi alla dolce tutela della stufa, che l’aria libera uccide.”

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“Il matrimonio è come una trappola di topi; quelli che son dentro vorrebbero uscirne, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.”

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“Cane affamato non teme bastone.”

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“Chi ha roba in mare non ha nulla.”

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“Il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole.”

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“I vicini devono fare come le tegole del tetto, a darsi l’acqua l’un l’altro.”

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“Né visita di morto senza riso, né sposalizio senza pianto.”

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“Uomo povero ha i giorni lunghi.”

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“Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.”

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“Sì, Milano è proprio bella, amico mio, e credimi che qualche volta c’è proprio bisogno di una tenace volontà per resistere alle sue seduzioni, e restare al lavoro. Ma queste seduzioni sono fomite, eccitamento continuo al lavoro, sono l’aria respirabile perché viva la mente; ed il cuore, lungi dal farci torto non serve spesso che a rinvigorirla. Provasi davvero la febbre di fare; in mezzo a cotesta folla briosa, seducente, bella, che ti si aggira attorno, provi il bisogno d’isolarti, assai meglio di come se tu fossi in una solitaria campagna. E la solitudine ti è popolata da tutte le larve affascinanti che ti hanno sorriso per le vie e che son diventate patrimonio della tua mente.”

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“Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: — Roba mia, vientene con me!”

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“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia, si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole.”

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