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Chiara Barzini, “Scrivere un romanzo regala libertà”

Intervista all'autrice di "Terremoto", un romanzo di formazione ambientato in una Los Angeles che non ha nulla del glamour di Hollywood o Beverly Hills

MILANO – Raccontare la dolcezza e la brutalità di Los Angeles, o meglio, della periferia di quella città, viste con gli occhi di un’adolescente romana. E’ questo ” Terremoto “, il libro di Chiara Barzini, un romanzo di formazione ambientato in una Los Angeles che non ha nulla del glamour di Hollywood o Beverly Hills. Il romanzo, nonostante l’autrice sia italiana, è stato scritto prima in inglese e poi tradotto dalla stessa autrice insieme a Francesco Pacifico.

 

Quanto c’è del suo “ terremoto ” personale all’interno di quello vissuto dalla protagonista del libro Eugenia?

Ero a Los Angeles da adolescente e ho testimoniato la dolcezza e la brutalità di quella città, o meglio, della periferia di quella città. I volti e le esperienze di quegli anni mi sono rimasti impressi, ma scrivere un memoir sarebbe stato molto frustrante. Il romanzo regala libertà.

 

Altro spunto autobiografico è l’ambientazione della storia a Los Angeles, dove è cresciuta. Che rapporto ha con questa terra?

E’ un rapporto di amore e odio. Los Angeles è soffocante e dispersiva allo stesso tempo. Non capisci come ma dopo qualche giorno entri a far parte della sua natura, delle sue autostrade, dei suoi fantasmi hollywoodiani e della sua decadenza. A Los Angeles se vuoi entrare in contatto con le glorie del passato devi fare un grande sforzo perché tutto viene dimenticato o raso al suolo. Ma io sono una gran nostalgica e ho subito sviluppato un feticcio per quei fantasmi. Ho scoperto e amato l’architettura degli anni 20 e i vecchi bar di downtown. E’ una cosa che ho ereditato da mio padre. Quando sei lì però ti sembra tutto abbastanza squallido, poi, cellula per cellula questi luoghi cominciano ad appartenerti e dopo poco passare quattro ore fermo nel traffico ad ascoltare la radio pubblica o ad ammirare il sole che tramonta verso l’oceano diventa la cosa più naturale del mondo. Poi parti o ti allontani o ti avvicini alle città “normali” del mondo e ti sembra di aver vissuto un sogno…


“ Terremoto ” è un libro scritto in inglese e tradotto da lei in Italiano. Pensa che se l’avesse scritto prima in Italiano ci sarebbero state delle differenze? 

Assolutamente sì. Sono stata felicissima di tradurlo in italiano, ma non sarei riuscita a scriverlo con questo tono se l’avessi approcciato direttamente in questa lingua. C’è un gran pudore che mi accompagna con l’italiano e un grande moralismo. Probabilmente è indotto inconsciamente dal Vaticano, non lo so, ma in italiano c’è un giudizio che in inglese scompare.

 

Lei è una sceneggiatrice: quanto ha influito nella stesura del libro? Pensa che “Terremoto” possa avere una sua trasposizione sul grande o piccolo schermo?

Si sta parlando di un adattamento, ma io penso che serva un occhio davvero in grado di raccontare sia l’Italia che l’America in maniera autentica e questa è una grande sfida…. Non ho scritto il libro pensando di farne un film, anzi. Era un po’ il mio rifugio dal lavoro di sceneggiatrice. Però sono certa che queste due forme si sono parlate tra di loro quando non me ne sono accorta.

 

foto @Jeannette Montgomery Barron 2017

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