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L’importanza della memoria, l’insegnamento di Anna Frank

Il 12 giugno 1929, a Francoforte sul Meno, nasceva una bambina di nome Anna che sarebbe diventata il simbolo della Shoah per il suo diario scritto in clandestinità

Il 12 giugno 1929, a Francoforte sul Meno, nasceva una bambina di nome Anna Frank che sarebbe diventata il simbolo della Shoah per il suo diario personale, scritto durante l’interminabile periodo di clandestinità in una soffitta di Amsterdam, insieme alla sua famiglia. 

La clandestinità

Il 10 maggio 1940, l’esercito tedesco invase l’Olanda, dove la famiglia Frank si era trasferita nel 1933. Anna Frank e la sua famiglia furono costretti a sottostare alle leggi razziali. Il 12 giugno 1942, Anna ricevette per il suo tredicesimo compleanno un quadernino a quadretti bianco e rosso, sul quale avrebbe scritto il Diario. Meno di un mese dopo, il 6 luglio 1942 dovette nascondersi con la famiglia nell’Achterhuis, un piccolo spazio a due piani posto sopra i locali della Opekta di Otto Frank. La mattina del 4 agosto 1944 la Gestapo fece irruzione nel loro nascondiglio, a causa di una soffiata di un ignoto delatore, e deportò la famiglia nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Auschwitz

Anna Frank e la sorella Margot passarono un mese ad Auschwitz-Birkenau. Vennero poi spedite a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo esantematico nel marzo 1945, solo tre settimane prima della liberazione del campo. Ecco le frasi più belle tratte dal Diario della piccola Anna.

L’importanza della memoria

Ricordare e trasmettere la memoria è un impegno difficile, soprattutto in una società come quella di oggi, immersa nel presente e dominata dalla velocità. Si avverte sempre più l’esigenza di non restare, in questa circostanza, nei recinti consolidati, prigionieri di parole e di modalità di trasmissione che appaiono paradossalmente necessarie ma al tempo stesso non del tutto efficaci quando ci si trova di fronte al compito non facile di raccontare ai giovani e ai giovanissimi.

Ciò che è accaduto ad Auschwitz è spesso percepito dalle nuove generazioni come distante e poco decifrabile, ma è importante che la comunità si assuma il carico di trasmettere la memoria, perché questa è in realtà indispensabile per orientarsi nel mondo e implica scelte decisive per l’oggi. I testimoni diretti inevitabilmente diventano pochi e una parte dell’opinione pubblica considera l’Olocausto un evento lontano, che appartiene alla storia, che ha pochi rimandi nell’attualità e apparentemente non getta ombre sul futuro, su cui si ritiene incidano ben diverse problematiche.

Il riconoscimento della memoria e la condanna, apparentemente unanimi, risultano ad un esame più attento fragili, insidiati non tanto dal revisionismo o dal negazionismo, ma piuttosto dal male sottile dell’indifferenza e dal risorgere di nuovi venti, inconsapevoli del passato, dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione.  Per questo, il messaggio contenuto in questa frase di Anna Frank e in generale nel suo celebre libro “Il diario di Anna Frank” è indispensabile da trasmettere alle nuove generazioni, affinché nessuno dimentichi e possa ripetere gli errori del passato.

Il diario di Anna Frank

Nell’Olanda sotto occupazione nazista la tredicenne Anna Frank inizia a raccontare in un diario intimo e personale la sua vita di ogni giorno. E’ il 1942 e le leggi antisemite colpiscono anche la sua famiglia, che per sfuggire alla deportazione si rifugia in un alloggio segreto. Qui Anna, che sogna di diventare giornalista o scrittrice, non smette mai di scrivere. Quando nel 1944 il governo olandese lancia un appello per raccogliere testimonianze e documenti di guerra, Anne inizia a rielaborare il suo diario, in vista di una possibile pubblicazione. Immagina che diventi un libro dal titolo “La casa sul retro” ma purtroppo non sopravvive abbastanza a lungo per vedere realizzato il suo sogno.

 

 

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