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L’inutilità dell’odio secondo Ugo Foscolo

La frase del giorno è tratta dal romanzo "Ultime lettere di Jacopo Ortis" di Ugo Foscolo, il primo romanzo epistolare della letteratura italiana, pubblicato nel 1802

La citazione con cui vi proponiamo di iniziare la giornata appartiene a Ugo Foscolo, poeta italiano nato il 6 febbraio 1778 e scomparso il 10 settembre 1827.

“Io non odio persona alcuna, ma vi sono uomini ch’io ho bisogno di vedere soltanto da lontano” 

Ugo Foscolo

Ugo Foscolo è stato tra i più importanti esponenti letterari italiani del neoclassicismo e del romanticismo. Nato a Zante, isola greca, all’epoca territorio della Repubblica di Venezia, passò buona parte della sua vita tra viaggi e fughe, accogliendo su di sé tutto il carico emotivo della condizione degli esuli.

Scrisse molti componimenti poetici, diverse opere teatrali, numerosi saggi di natura filosofica e politica e due romanzi. Il primo autobiografico “Sesto tomo dell’io”, rimasto incompiuto, e il secondo sotto forma epistolare “Ultime lettere di Jacopo Ortis” 

Ultime lettere di Jacopo Ortis

Ultime lettere di Jacopo Ortis è considerato il primo esperimento di romanzo epistolare italiano. Ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto all’epoca di Foscolo, il suicidio di un giovane studente universitario della provincia di Pordenone, il romanzo di Ugo Foscolo è composto dalle 67 lettere che il protagonista Jacopo Ortis invia al suo amico Lorenzo Alderani. Esse sarebbero state pubblicate, con una presentazione e una conclusione dello stesso amico, dopo il suicidio di Ortis. 

 

Jacopo Ortis è un giovane studente universitario veneto. Dopo le delusioni dei suoi ideali di patria, di libertà e di giustizia, egli va a vivere in totale solitudine sui colli Euganei. Lì conosce e si innamora di Teresa, ma il padre l’ha già promessa a un giovane rampollo ricco e ben educato, di nome Odoardo. Lo struggimento per l’impossibilità dell’amore lo porterà ad allontanarsi da Teresa e a vagare per diverse città. Ma esausto dei continui spostamenti e dalla mancanza di altri progetti concreti per salvare la sua patria, Jacopo rientrerà in Veneto. Qui scoprirà del matrimonio della sua amata Teresa. Il dolore, cui non riuscirà a resistere, lo porterà al gesto estremo del suicidio.

Perché A Zacinto è un inno a non smettere di cantare la bellezza

Perché A Zacinto è un inno a non smettere di cantare la bellezza

Il sonetto A Zacinto è uno dei più celebri di Ugo Foscolo, scritto a Milano negli ultimi mesi del 1802 e nei primissimi del 1803

L’inutilità dell’odio

L’odio, si sa, è un sentimento inutile ed è anche, per dirla alla Foscolo, la catena più abietta con la quale un uomo si lega ad un altro uomo. Dall’odio non si ricava nulla e nulla riesce a mettere in circolo, se non una rabbia o un rancore struggenti che non lasciano altra energia per agire. Inoltre l’odio imputa all’altro una natura non umana, un disprezzo senza soluzione. Tale sentimento altro non è che un modo per allontanare se stessi dalla vita e dall’appartenenza a una specie, che seppur malevola e capace di atti tremendi, è al tempo stesso capace di gesti di generosità e altruismo di estrema bellezza.

Di seguito il capitolo da cui è stata estrapolata la frase di oggi di Ugo Foscolo. Il testo riporta la data del 1 novembre 1801:

“Io sto bene, bene per ora come un infermo che dorme e non sente i dolori; e mi passano gl’interi giorni in casa del signor T*** che mi ama come figliuolo: mi lascio illudere, e l’apparente felicità di quella famiglia mi sembra reale, e mi sembra anche mia. Se nondimeno non vi fosse quello sposo, perché davvero — io non odio persona al mondo, ma vi sono cert’uomini ch’io ho bisogno di vedere soltanto da lontano. — Suo suocero me n’andava tessendo jer sera un lungo elogio in forma di commendatizia: buono — esatto — paziente! e niente altro? Possedesse queste doti con angelica perfezione, s’egli avrà il cuore sempre così morto, e quella faccia magistrale non animata mai nè dal sorriso dell’allegria, nè dal dolce silenzio della pietà, sarà per me un di que’ rosaj senza fiori, che mi fanno temere le spine.

Cos’è l’uomo se tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice? scellerato, e scellerato bassamente. — Del resto, Odoardo sa di musica; giuoca bene a scacchi; mangia, legge, dorme, passeggia, e tutto con l’oriuolo alla mano; e non parla con enfasi se non per magnificare tuttavia la sua ricca e scelta biblioteca. Ma quand’egli mi va ripetendo con quella sua voce cattedratica, ricca e scelta, io sto li lì per dargli una solenne mentita. Se le umane frenesie che col nome di scienze e di dottrine si sono scritte e stampate in tutti i secoli, e da tutte le genti, si riducessero a un migliajo di volumi al più, è mi pare che la presunzione de’ mortali non avrebbe da lagnarsi — e via sempre con queste dissertazioni.”

La lettera d'amore di Ugo Foscolo ad Antonietta Fagnani Arese

La lettera d’amore di Ugo Foscolo ad Antonietta Fagnani Arese

MILANO – Nel 1802 Ugo Foscolo, nel pieno della sua attività letteraria, allaccia un’intensa relazione amorosa con Antonietta Fagnani Arese. Per Lei compone l’ “Ode all’Amica

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