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“Una casa di bambola”, l’assurdo gioco delle parti

Le contraddizioni espresse da Ibsen corroborate dalla rilettura di Andrée Ruth Shammah

MILANO – “Una casa di bambola” porta lo spettatore a interrogarsi sulle dinamiche della relazione tra uomo e donna: il potere, l’amore, il possesso, l’erotismo, il denaro. L’abnegazione della protagonista Nora è scandita dal suo cinguettare come una “lodoletta”, un cinguettare che nel corso della pièce si trasforma però in un canto di liberazione. La donna, interpretata da una straordinaria Marina Rocco, si confronta con tre uomini: Helmer, il marito che blandisce il suo angelo del focolare, il dottor Rank, ossia l’amico che la conforta, l’ambiguo Krogstad che la ricatta. I tre ruoli che sono stati affidati al solo Filippo Timi, uno e trino ma superlativo come sempre. L’attore perugino con la sua triplice interpretazione è come se volesse mostrare la molteplicità dell’animo umano.

IBSEN OGGI – Le contraddizioni espresse da Ibsen vengono corroborate dalla rilettura di Andrée Ruth Shammah che non stravolge l’assetto originale ma lascia che nel dramma esistenziale lo spettatore possa strappare una risata alla tragedia. Per la regina del teatro Parenti Nora non è la vittima assoluta, la bambola manovrata dal destino ma è lei stessa a muovere i suoi fili e quelli degli altri, a forza di bronci, pianti, capricci ed armi seduttive. Nora, nel corso del dramma, acquista sempre più consapevolezza ma è una donna che deve provare a tutti la sua forza: al marito, all’avvocato, perfino all’amica di infanzia Cristine. C’è del meta-teatro nella recita che la stessa Nora porta avanti da anni nella “sua casa di bambola”, di moglie-madre (e prima figlia) attenta e premurosa che lascia che i suoi bisogni e sacrifici siano un segreto, dal prestito illecito al mangiare di nascosto gli amaretti.

LA TRAGEDIA UMANA – Quello che emerge da “Una casa di bambola” (al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 24 febbraio) è la vulnerabilità dell’essere umano, dal più abietto come Krogstad all’apparentemente più pacata e candida Nora. È un gioco di apparenze (di memoria pirandelliana): quello che sembra e quello che è, nell’estrema e soggettiva valutazione che ogni personaggio ha di sé e degli altri. Un viaggio catartico attraverso la consapevolezza e la fragilità umana, soprattutto nell’intrecciare relazioni minate inevitabilmente dall’instabilità della vita.

 

Lucia Antista

 

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