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Samuel Beckett, il padre di ‘Aspettando Godot’

Riconosciuto come uno degli scrittori più influenti del XX secolo, Samuel Beckett è stato la voce più significativa del 'Teatro dell'assurdo'

MILANO – Riconosciuto dalla critica come uno degli scrittori più influenti del XX secolo, Samuel Beckett è stato la voce più significativa di quel genere teatrale – e filosofico – noto come ‘Teatro dell’assurdo’. Tale definizione venne coniata dal critico Martin Esslin per descrivere un particolare genere teatrale in voga tra gli anni Quaranta e Sessanta: queste rappresentazioni consistevano in un’articolazione artistica del concetto filosofico di assurdità dell’esistenza, elaborato dagli autori dell’Esistenzialismo (Jean-Paul Sartre negli anni Trenta e Albert Camus nei romanzi, nel teatro e nella saggistica). Le caratteristiche peculiari del teatro dell’assurdo sono il deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. Samuel Beckett scrisse sia in lingua inglese sia in lingua francese; la sua opera più famosa è senza dubbio ‘Aspettando Godot‘. Nel 1969 Beckett venne insignito del Premio Nobel per la letteratura ‘per la sua scrittura, che – nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma – nell’abbandono dell’uomo moderno acquista la sua altezza’. Lo ricordiamo con le sue frasi più significative.

Aspettando Godot

Nel periodo fra il ’45 e il ’50 compone varie opere, tra cui le novelle ‘Malloy’, ‘Malone muore‘, ‘L’innominabile’, ‘Mercier et Camier‘, e alcune opere teatrali, di fatto una novità nel suo catalogo. Sono le stesse, in pratica, che gli hanno donato fama imperitura e per cui è noto anche al grande pubblico. Vi compare, ad esempio, la celebre ‘Aspettando Godot‘, da più parti acclamata come il suo capolavoro. E’ l’inaugurazione, negli stessi anni in cui opera Ionesco (altro esponente di spicco di questo ‘genere’), del teatro cosiddetto dell’assurdo.  Parlando di questa pièce ma sintetizzandone le caratteristiche drammaturgiche generiche il critico Vivian Mercier scrisse che Beckett “ha realizzato il teoricamente impossibile, un’opera in cui non succede nulla, ma che tiene incollati gli spettatori ai loro posti. In più, considerando che il secondo atto è una ripresa leggermente differente del primo, ha scritto un’opera in cui non succede nulla, due volte.”

Da Godot al Nobel

L’opera, infatti, vede i due protagonisti, Vladimir ed Estragon, in attesa di un fantomatico datore di lavoro, il signor Godot. Della vicenda non sappiamo nient’altro, né dove si trovino esattamente i due viandanti. Lo spettatore sa solamente che accanto a loro c’è un salice piangente, immagine simbolica che condensa in sé il tutto e il nulla. Da dove vengono i due personaggi e soprattutto da quanto aspettano? Il testo non lo dice ma soprattutto non lo sanno neanche loro stessi, i quali si trovano a rivivere le stesse situazioni, gli stessi dialoghi, gesti, all’infinito, senza poter dare risposte neppure alle domande più ovvie. Gli altri (pochi), personaggi della vicenda sono altrettanto enigmatici… La sua frase più celebre, riguardo l’opera in questione, è «se avessi saputo chi è Godot l’avrei scritto nel copione». Nel 1969 la grandezza dello scrittore irlandese viene ‘istituzionalizzata’ attraverso l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura. In seguito, ha continuato a scrivere fino alla sua morte, avvenuta il 22 dicembre del 1989.

 

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