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La mancanza d’amore è la vera causa del bullismo dei ragazzi

Alessandro d'Avenia, sul Corriere della Sera, ha paragonato i ragazzi di oggi al protagonista del romanzo "Profumo". Cosa li accomuna? Il desiderio di essere amati

MILANO – Nella rubrica “Letti da rifare” del Corriere della Sera di oggi, Alessandro D’Avenia esprime la propria opinione sul dilagante fenomeno del bullismo.Lo scrittore e insegnante paragona i giovani di oggi al protagonista di “Profumo”, il celebre romanzo del XX secolo. Ad accomunare le persone è la mancanza di amore e il desiderio di trovare chi li possa veramente amare.

 

Profumo

Jean-Baptiste Grenouille è un giovane orfano, brutto, apparentemente insensibile. È però dotato di un olfatto unico al mondo, e il suo sogno è quello di conquistare il cuore delle persone creando  il profumo “perfetto”, capace di far nascere l’amore in chiunque lo fiuti. E per realizzarlo è pronto a tutto anche a uccidere ventiquattro bellissime ragazze. Come scrive lo stesso D’Avenia: «Per una volta nella vita voleva essere uguale agli altri e liberarsi di ciò che aveva dentro: il suo odio. Voleva essere conosciuto per una volta nella sua vera esistenza, e ricevere una risposta da un altro uomo nel suo unico sentimento vero, l’odio».

 

Il bullismo

I ragazzi soffrono lo stesso problema e la medesima mancanza di Jean-Baptiste Grenouille. Queste le parole di D’Avenia “Oggi spesso l’«essenza», la sostanza a cui i ragazzi si affidano per profumare, è il cellulare, quello che riprende un ragazzo che umilia il professore urlandogli di inginocchiarsi e segnare un 6 sul registro. Il video, come è prassi dei nostri tempi, diventa virale su social e canali di informazione: uno spettacolo che, in questo modo, consente di esistere un po’ di più ma è anche, inconsapevolmente, una richiesta di soccorso perché gli adulti battano un colpo di presenza, capace di porre limiti e indirizzare costruttivamente il desiderio di vita vera che alberga in ogni ragazzo, anche il più «storto».” E continua “Una cultura senza proposte di senso credibili genera a cascata tre conseguenze: perdita di identità, narcisismo e vergogna. Il narcisismo è la conseguenza di un’identità volatile e smarrita, che non è stata trasmessa e liberamente elaborata: non si è parte di una storia e non c’è un fondamento di verità su cui costruire se stessi. L’identità, il livello profondo di consapevolezza di sé, fondato su ciò che possiamo dare per scontato, svanisce e deve essere quindi comprata o procurata con una prestazione: ognuno è spinto a usare e abusare del proprio io come oggetto di una performance, che porta alcuni ragazzi ad abbandonare la competizione prima di cominciare, altri a vincerla con ogni mezzo fino a sfinirsi. Lo sguardo altrui ha un potere fondante ma, in assenza di identità, mortale: ci illude di esistere ma ci imprigiona, perché la folla anonima non basta per essere veramente amati. Così cresce la cultura della vergogna, in cui le crisi e le fragilità non sono ferite da riconoscere, accettare e curare attraverso relazioni sane e stabili, ma colpe da eliminare o nascondere perché inadatte al successo, come mostra la lettera dei familiari del famosissimo dj 28enne Avicii, appena scomparso in circostanze suicidarie: «Il nostro amato Tim era un’anima fragile in cerca di risposte a domande esistenziali. Ha lavorato a un ritmo che lo ha portato a uno stress estremo. Voleva trovare un equilibrio per essere felice. Voleva trovare pace. Non era fatto per quella macchina da business».”

 

Ragazzi come il profumiere

Anche il profumiere agisce nei modi tipici di chi non sa amarsi e amare: seduzione e violenza. Distrugge le donne più belle, di cui vorrebbe grazia e affetto, e costringe gli estranei ad amarlo con il profumo perfetto. Seduzione e violenza sono dominanti nella comunicazione odierna: per esistere dobbiamo costringere gli altri a guardarci. La profonda sete di amore e di senso, non ricevuti dalle figure di riferimento e interiorizzati nel profondo, fa regredire alle strategie di sopravvivenza delle bestie: predare. La telecamera tascabile rende il ragazzo un predatore di identità, vincolato al copione che gli permette di essere guardato e amato. L’io ha valore se diventa «virale», capace di contagiare gli altri come un virus. La telecamera trasforma il dramma in «spettacolo», parola la cui radice latina indica il guardare senza distanza, al contrario di «rispetto» che, alla stessa radice, aggiunge il ri- iniziale, segnale di un guardare empatico e riflessivo.

 

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