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Viaggio tra sogno e realtà nel romanzo fantascientifico i ”Cristalli sognanti”, di Theodore Sturgeon

''...i pensieri sono senza forma, sono impulsi in codice senza struttura, né sostanza o direzione, finché non vengono comunicati a qualcuno. Allora precipitano e diventano idee, che si possono mettere sul tappeto e discutere. Uno non sa quello che pensa finché non ne parla con un altro. È per questo che ti parlo''...
Pubblichiamo la recensione di un nostro caro lettore per la capacità con cui sa delineare la storia e le tematiche di questo testo, ripercorrendo – con esempi e citazioni – la tradizione del romanzo di Fantascienza
 

“…i pensieri sono senza forma, sono impulsi in codice senza struttura, né sostanza o direzione, finché non vengono comunicati a qualcuno. Allora precipitano e diventano idee, che si possono mettere sul tappeto e discutere. Uno non sa quello che pensa finché non ne parla con un altro. È per questo che ti parlo.” Con queste parole, proferite da un personaggio de “Cristalli sognanti” (“The Dreaming Jewels”, 1950), Theodore Sturgeon (1918-1985) definiva nella sua essenzialità il concetto di comunicazione. Che è poi, a ben pensarci, il concetto base di tutta la Fantascienza: il comunicare con l’Altro, l’Alieno, in tutte le salse e variazioni possibili, specialmente nella produzione fantascientifica degli anni Cinquanta e Sessanta.

A quell’epoca, la Fantascienza, come del resto il romanzo poliziesco e quello rosa, erano (e rimangono) generi particolari e popolari tutt’altro che degni per la Critica Ufficiale di avere neanche lontanamente un valore e quindi una considerazione letterari. Era una situazione paradossale se si pensa che i padri fondatori della Fantascienza (due nomi per tutti: Jules Verne – 1828-1905 – e Herbert George Wells – 1866-1946) sono per lo meno menzionati nelle storie della letteratura dei rispettivi Paesi. Al giorno d’oggi le cose sono un po’ cambiate (anche se non molto, a conti fatti!): ci si è resi conto che uno scrittore può dire qualcosa di “nuovo” e comunque interessante e valido indipendentemente dal genere narrativo che più gli è congeniale per esprimersi. Viene in mente – sempre per la Fantascienza – quel Philip Kindred Dick (1828-1982) che avrebbe desiderato esser considerato uno scrittore e basta; oppure viene in mente – per il romanzo giallo, questa volta – quell’opera di Agatha Christie (1890-1976) del ’39 “And Then There Were None” (“…e poi non rimase nessuno”, noto anche con i titoli “Ten Little Niggers” o “Ten Little Indians”, “Dieci piccoli indiani”) che può esser considerato un romanzo filosofico: chi son quelle persone riunite in un luogo inaccessibile e isolato da uno sconosciuto (un’entità sconosciuta: U.N. Owen, l’ignoto organizzatore dell’incontro ha una pronuncia che suona molto simile a unknown, sconosciuto, ignoto, appunto), il destino – già segnato – delle quali è quello di morire ad una ad una per presunte colpe (che forse si potrebbero chiamare anche peccati) non adeguatamente espiate e scontate in vita? Certo, il tema qualcun altro l’avrebbe trattato e sviluppato costruendo altre trame, con altri personaggi in altri ambienti: la Christie l’ha fatto usando gli ingredienti che meglio sapeva usare, quelli del romanzo poliziesco, ma questo è soltanto il frame obbligato e specifico del genere: si può andare ben oltre con i significati e i messaggi.

E che dire allora di scrittori che hanno il loro posticino assicurato nella Storia della Letteratura e pur tuttavia non han disdegnato di utilizzare tecniche, atmosfere e intrecci tipici dei romanzi di genere, da edicola, non libreria: nomi e titoli? A memoria: “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” (1957) dell’ing. Gadda (1893-1973) e “Il grande ritratto” (1960) di Dino Buzzati (1906-1972), di cui quest’anno ricorre il quarantennale dalla scomparsa.

Che l’atteggiamento nei confronti dei romanzi di Fantascienza (per quelli migliori, ovviamente) sia cambiato ne è in qualche modo una testimonianza proprio questo romanzo di Sturgeon pubblicato nel 1997 da Adelphi, casa editrice che ha sempre annoverato nel suo catalogo autori assai lontani da quelli di genere. In questo, come in altri suoi romanzi, l’autore tratta il tema della sostituzione all’umano da parte dell’alieno: tema a cui non era nuovo il succitato Philip. K. Dick. Sostituzione e/o replica – ricordate “L’invasione degli ultracorpi” (“The Body Snatchers”, del 1955, di Jack Finney (1911-1995)? Accanto a questo c’è pure il tema dell’agire o per lo meno dell’essere consapevoli di far parte di una specie, di sentirsi, quasi ma non proprio una simbiosi. E, sottostante al tutto il tema ben conosciuto degli “alieni sono tra noi” anche se non li vediamo. Sturgeon però lo elabora in una maniera decisamente originale e non priva – a sua insaputa o no – di retaggi sia letterari (e non di poco conto) che, addirittura, mitici.

Sintetizziamo i fatti cercando di non intaccare il piacere della lettura. Un ex medico brillante e intelligente – il personaggio della citazione di apertura –, con uno spirito da ricercatore, a cui il destino ha lesinato i meritati riconoscimenti tanto da costringerlo a cambiare radicalmente vita, scopre nel sottosuolo dei cristalli; questi, come si accorgerà nel tempo e nel corso dei suoi esperimenti, sono di fatto forme viventi, capaci di agire e interagire sulla terra: essi, con risultati più o meno perfetti, duplicano (o rigenerano) parti di piante, animali e anche esseri umani. Purtroppo, i risultati delle loro “produzioni” sono sovente esseri malformati o non del tutto formati. Nulla si nota perché questo ex medico oggi è il titolare di un Luna Park dove si esibiscono anche scherzi di natura (ricordate Freaks il film del 1932 di Tod Browning? E, dato che ci siamo, mettiamoci anche The Elephant Man di David Lynch, premio Oscar nel 1981): nani, l’uomo-pesce, l’uomo più brutto del mondo e altre tragiche amenità. Non bellicose e/o aggressive, a differenza di altri alieni descritti in altri romanzi di Fantascienza. Questi sono drammaticamente quanto umanamente alieni.

Il modo in cui i cristalli creano o copiano esemplari nella realtà è davvero curioso: non c’è una parola per definirlo con esattezza ma quella che più si avvicina è: “sognando”. Per studiarli più a fondo l’ex medico avrebbe bisogno di comunicare con loro. Ma come fare? Ci vorrebbe un intermediario tra lui e loro, ma come farglielo creare? Ovviamente senza imperfezioni di sorta. E se già esistesse e magari si rendesse conto di essere frutto di un sogno? Dove potrebbe essere? Non c’è naturalmente soltanto brama di conoscenza da parte di questo ex medico-scienziato: ci sono mire e scopi ben meno nobili.

Questa fabula volutamente parziale si dispiega narrativamente in un intreccio perfetto, con una manipolazione del caso e dei piani temporali – la vicenda si volge nell’arco di circa un decennio – che danno alla storia un passo e un ritmo tali da lasciare incollato il lettore, dispiaciuto, arrivato all’ultima pagina, di averne terminato la lettura. Più sopra si è accennato alla mitologia: si sa che, per quella australiana, tutto il creato è dovuto a esseri soprannaturali che poi o se ne sono andati in cielo o si sono rintanati nel sottosuolo (come i cristalli) in un mitico “Tempo del sogno”. E i retaggi letterari di cui si diceva? “Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà…Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che era anche lui una parvenza, che un altro stava sognandolo.” (da Le rovine circolari, racconto contenuto in Finzioni, 1944, di Jorge Luis Borges). Può bastare?

28 ottobre 2012

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