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”La morale del tornio”, un libro da leggere tutto, fino in fondo, e poi tornare daccapo per rileggerlo

“La morale del tornio” è un libro da leggere tutto, fino in fondo, e poi tornare daccapo per rileggerlo. Ultima fatica letteraria di Antonio Calabrò – siciliano e giornalista, difficile dire cosa venga prima -, il libro non tratta di economia anche se parla di imprese...

La morale del tornio” è un libro da leggere tutto, fino in fondo, e poi tornare daccapo per rileggerlo. Ultima fatica letteraria di Antonio Calabrò – siciliano e giornalista, difficile dire cosa venga prima -, il libro non tratta di economia anche se parla di imprese. E’ qualche cosa d’altro. Un misto di letteratura e immagini, di storia e critica, di passione e rigore. Certamente non è un libro di consultazione; ma può essere – anzi è – un volume al quale tornare dopo qualche tempo. Se fosse un vino, sarebbe da meditazione.

 

Il carattere delle circa 240 pagine del testo, pubblicato da Università Bocconi Editore,  si capisce dalle prime righe e dal sommario, con capitoli che, appunto, indicano attenzioni peculiari di chi non è economista o solo uomo d’impresa, ma qualche cosa d’altro: un osservatore del mondo. E’ da questa condizione che nascono titoli che fanno riferimento alle neofabbriche, all’Ulisse politecnico, all’ascolto per le buone decisioni, alle imprese come espressione di cultura, al connubio forte ma insolito della musica con la fabbrica. E, poi, importanti sono, come si è detto, le prime righe; con Italo Calvino che parla di inferni quotidiani e dice: “L’inferno dei viventi… è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continuo: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

 

Calabrò ha naturalmente scelto la seconda strada indicata da Calvino. E l’ha percorsa da sempre, consapevolmente, ostinatamente e con amore. Anche contro corrente. Basta pensare ad altre due fatiche letterarie che idealmente si collegano a filo doppio con quest’ultima. Basta pensare, quindi, a “Dissensi” ed a “Cuore di cactus”. “Dissensi”, racconto del mondo sulla traccia indicata da chi “preferisce dire di no” e si interroga appunto sul come dare vita al non inferno; “Cuore di cactus”, storia sofferta e dolce di chi è partito da una terra amatissima per farvi sempre ritorno, consapevole dell’impossibilità atavica di migliorarne le condizioni eppure ostinatamente impegnato a provarci sempre. Protagonista, in entrambi i casi, non come un Gattopardo sconfitto e disilluso, ma come un Tancredi forte e sognatore.

 

Ma “La morale del tornio” è anche altro. Per esempio, è un libro che dà speranza in un futuro che non è una favola ma una buona prospettiva di lavoro e di vita. Qualcosa che si costruisce già oggi e si fa attraverso contributi diversi, non necessariamente convenzionali e prevedibili. Altro dalla crisi e dalle nebbie dello smarrimento culturale. E’ d’altronde lo stesso autore a dirlo: “Questo è un libro contro l’ossessione del declino irreversibile dell’Italia, contro il «declinismo», ideologia vittimistica della sconfitta, lamentosa inclinazione al rimpianto dei «bei tempi andati». Siamo un paese in difficoltà, certo, ma in movimento”.

E’ – come detto all’inizio – tutto da leggere e rileggere questo libro, scritto da chi assomiglia molto, nel suo lavoro, ad un altro giornalista – John Reed – del quale si disse: “Aveva occhi per vedere (…), sapeva imparare da ciò che vedeva, e vedeva con straordinaria chiarezza e precisione”.

 

Andrea Zaghi

 

27 marzo 2015

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