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Come utilizzare i social network, in un libro la guida per genitori e figli

Il giornalista Simone Cosimi è co-autore insieme allo psicanalista e psicoterapeuta Alberto Rossetti del libro "Nasci, cresci e posta" che analizza le dinamiche della presenza degli adolescenti sui social

MILANO – Non sanno spiegare cos è un social network ma passano gran parte del tempo in spazi di incontri che possono nascondere insidie quotidiane. Frequenti sono i casi di cyberbullismo che portano all’onore delle cronache storie che partite come bravate (quanto meno nelle intenzioni di chi cerca di giustificarsi) finiscono col diventare valanghe che travolgono bambini e ragazzini spesso soli. Dunque come proteggerli?  “Nasci, cresci e posta” è il libro-vademecum che aiuta a capire le dinamiche che definiscono la presenza di bambini e adolescenti sui social. Ecco cosa ci ha raccontato il giornalista Simone Cosimi, co-autore del libro insieme allo psicanalista e psicoterapeuta Alberto Rossetti.

Come nasce l’idea o la necessità di questo libro?

Nasce dal fatto che non c’era un prodotto simile in grado di mettersi a cavallo fra l’inchiesta giornalistica e l’approfondimento psicologico. Esistono manuali di psicologia complessi e testi scritti in un lessico troppo tecnico. Noi volevamo scrivere un libro per tutti, molto denso, che si potesse iniziare come una guida e finire come un romanzo. La volontà è stata quella chiederci cosa sta accadendo ai ragazzi che stanno sui social? Come li usano? Cosa fanno i genitori? Come fanno a orientarsi? Più che guida penso sia un vademecum in grado di riprendere sempre per approfondire passaggi trascurati o avere più chiari concetti poco compresi. Per farlo però abbiamo avuto l’ambizione di scriverlo in uno stile saggistico ma leggero.

Dal tuo punto di vista, è più difficile per un genitore educare o per i ragazzi comprendere l’uso delle piattaforme social?

Per certi diversi sono due aspetti che si equivalgono e pesano alla stessa maniera. Da una parte c’è presunta superiore competenza dei bambini e dei ragazzi nell’uso delle piattafome social. Presunta perché saper usare le funzionalità di alcune piattaforme (i filtri di instagram, snapchat, ecc..) non vuol dire essere consapevoli dell’ambiente in cui ci si muove. Per i genitori invece è l’inverso, come è stato appurato analisi che ha fatto Alberto Rossetti, co-autore del libro che lavora spesso nelle scuole: quello che emerge è una distanza siderale dalla conoscenza di queste piattaforme. I genitori non sanno davvero di cosa si parla, ovvero è un lessico quasi incomprensibile.

La nostra tesi è che queste piattaforme non siano il luogo adatto per giocare e, se i genitori propongono questo ai loro i figli, i minori non hanno neanche la guida che permetta loro un’uscita di sicurezza.

Estremizzare non va mai bene, e l’attenzione va posta sull’uso responsabile del mezzo. Ma pensi che le persone subiscano passivamente l’invasività della tecnologia o davvero c’è più interesse per i legami virtuali?

Per i social è un po’ complicato dirlo, perché ce ne sono di diversi e con diverse tipologie di utenze attive e meno attive. Io penso che non stiamo più parlando una moda o di una tendenza, ma queste piattaforme, laddove sono veloci, efficaci e soddisfacenti, davvero riescono a coprire una serie di necessità e incombenze. Basti pensare ai micro-pagamenti o alla prenotazione di un’aut o e quant’altro. Sono piattaforme che insistono molto sulla loro epistemologia dello steccato dorato: rimaniamo dentro perché bene o male riusciamo ad avere tutto. Tutto questo non funzionerebbe se non fosse anche utile. D’altro canto, però, più che passività esiste ignoranza, ovvero un’illusione storica che ci porta a pensare di saperci muovere in determinati ambienti e in realtà non lo sappiamo fare. Questo perché è faticoso uscire dal lato giocoso per occuparsi di quello “sporco”, ovvero di capire tutte le funzionalità per un uso corretto di queste piattaforme.

In virtù del tuo lavoro ogni giorno fai i conti con l’informazione e conosci bene il fenomeno del “fake”. Personalmente quali regole ti sei dato per affrontarlo?

Nel libro ne parliamo soprattutto in un passaggio dedicato alla “blue whale”, la bufala dell’anno e forse più intrigante perché sembrava avere dei fondi verità poi fugati via anche dalle lacune che aveva l’inchiesta di partenza del media russo che l’aveva approcciata. Per quanto mi riguarda, la regola numero uno, ovvero quello di smentire colpo su colpo, non dà totalmente gli effetti desiderati. Occorre infatti sapere raccontare in maniera efficace per disinnescare la polarizzazione dell’opinione. Un occhio attento ad ogni modo riesce a cogliere se una notizia è una bufala o meno: ad esempio guardando ai titoli strillati che dicono senza dire; riconoscendo la fonte pur sapendo che ogni fonte non è a prova di bomba; controllando le url; facendo una ricerca inversa delle immagini per vedere se è stata già utilizzata e in quale contesto; guardando all’uso della lingua: un articolo scritto in un pessimo italiano suggerirebbe una traduzione improvvisata.

Un altro tema caldo sono i cosiddetti haters: esiste una strada per evitare che questo fenomeno non contamini la crescita dei piccoli?

Il problema non sono le piattaforme sociali ma per dinamiche che si innescano là dentro perché ci sono persone in carne e ossa. Basta pensare ad esempio ai vari giochi che si giocano in multiplayer a squadre.

Il fatto che il bambino sia sempre attaccato al telefono, che cambi umore costantemente, che si isoli: ci sono tanti segnali che come valevano prima per altri tipi di problematiche valgono ancora adesso anche per queste. Non è perché oggi ci sono i social che allora si deve impedire ai bambini di starci dentro. I genitori devono recuperare il loro ruolo e capire, quanto meno intuire cosa si muove. Io consiglio che debba sempre essere tenuto aperto il canale tra grandi e piccoli, che si dialoghi, seguendo un grande classico dell’educazione. Occorre “sporcarsi un po’ le mani”, conoscere le funzionalità e i rischi di queste piattaforme perché altrimenti non si avrà mai la capacità di cogliere le problematiche per i bambini.

 

photocredits: Nicola Gronchi

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